Alla ricerca

Oggi è passato un anno dal tuo ultimo respiro.
Non scrivo per rimanere appiccicato alle vecchie lacrime, che si sono fatte resina e cercano di tenermi immobile. No. Sto andando avanti.
Lentamente la nebbia violacea della rabbia si sta diradando. Mi rendo conto della sua inutilità e vado avanti, facendo leva su quello che è rimasto. Sull’amore. Quel tuo incomprensibile, scellerato amore.
Certo, le domande tornano come la seconda onda dopo la risacca. E la terza, la quarta, la seicentomiliardesima. Perché la vita qua è fatta di domande e chissà se dall’altra parte ti danno le risposte.
Io ti cerco. Nel mio quotidiano, anche ora che spingo questi tasti e sono loro a portarmi, sono le parole che si formano da sole. Io sto solo a guardarle.
Così come rimango a fissare la tua lapide senza pensare. Arrivo, cambio i fiori, lavo il marmo e penso che forse un po’ di sassolini intorno ci stanno bene per fermare quelle erbacce che continuano a crescere.
Ma nel frattempo, tu dove sei? Il tuo corpo è finito sotto, come Atlantide, ma come Atlantide ne ha conservato la magnificenza. Quindi sei rimasta lì, o sei volata via?
Se mi sdraiassi sulla terra, tra i sassi, se potessi sciogliermi come acqua e penetrare nel terreno, cosa vedrei di te? Hai già lasciato i tuoi doni a questa terra, o c’è ancora un po’ di energia qua sotto?
Oppure attraversi le galassie e ne scegli una più comoda per stabilirti? Magari una fresca, che il caldo proprio non lo sopportavi.
E quando l’avrai trovata, potrò rintracciarti quando ti raggiungerò? Mi manderai la tua posizione, tu che non riuscivi a farlo con il cellulare, un po’ perché non ci vedevi bene e un po’ perché non ti andava di imparare?
Continuo a chiedermi ogni tanto: dove sei? C’è un po’ di te nel santino plastificato in custodia nel mio portafogli? C’è un po’ di te nell’album delle foto? Hai lasciato qualche mollica tipo Pollicino?
Spero di sì, altrimenti come ti trovo?
Ogni tanto i mostri si ribellano dentro di me e fanno baccano. Sei tu che li prendi a sculacciate, quando li sento che si calmano? Sei tu che sei arrivata nella stanza del mio Inquilino e l’hai messa in ordine e hai annientato ogni acaro della polvere perché se sono allergico io, probabilmente lo è anche l’Inquilino?
Continuo a cercarti e corro così veloce che rischio di bruciarmi a contatto con l’atmosfera e svanire anch’io.  Ti cerco così forte che a volte metto in dubbio che possa essere esistito un essere come te. Così diverso da tutto. Così introvabile. Mi viene il dubbio che io sia nato in un laboratorio e tu sia solo nella mia immaginazione. Un ricordo impiantato per dare un senso alla mia esistenza.
Forse l’unico modo per trovarti davvero è fermarsi. Respirare.
C’è un legame che può portare dall’altra parte, andata e ritorno. E così posso vederti. Tu, grande sabotatrice, tra le più testarde. Il mondo in una direzione e tu, ostinata e contraria. Ad urlare, sbracciare e continuare a ripetere: “Io so’ fatta così”. Tu che sei tornata, dopo la dipartita, e hai incendiato tutto.
Tu, resistente ai regimi e allergica all’indifferenza. Tu, a rompere gli schemi ed esasperare coloro che cercano la normalità.
Ed io, che ho cercato di cancellarti in vita e allora tu hai deciso di lasciar andare il corpo, così da tornare ancora più forte e sabotare tutti gli schemi e le previsioni che mi ero costruito.
Tu, con il tuo sacrificio, ad insegnarmi il sabotaggio e l’amore.
Tu, che come le torri di Atlantide ora squarci il silenzio dell’abisso.
Tu, che non hai bisogno di essere cercata.
Perché sei ovunque.

Mister F



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