Atocha

Il perimetro e le pareti sono azzurre. Un mare duro come la realtà, che ride in faccia alle promesse. Dall’alto dicono che avrebbero difeso la vita, quaggiù invece l’hanno persa. In tanti. Puoi fare l’appello, se vuoi. Ci sono nomi e cognomi, tra le due porte di ingresso. Puoi fare l’appello, tanto non ti risponde nessuno. Sono saltati in aria insieme alle parole che escono dalle bocche blasonate, le stesse che mangiano grazie ai soldi degli sceicchi. Quelli che poi le bombe le danno ai cani sciolti, che poi a loro volta le vanno a mettere sui treni e il cerchio si chiude. Boom. Arrivederci a mai più.
Al centro c’è una cupola di tela, piena di dediche fatte da chi l’orrore probabilmente non l’ha mai visto, se non dietro a uno schermo. La tela ha due strappi, uno in cima e l’altro laterale. I vetri che dividono la stanza azzurra dal corridoio dove passano i vivi sono curvi, bombati. Come se ci fosse una forza che preme da dentro. Ci sono anche un paio di crepe sul pavimento, appena entri. Sembra che ogni giorno in quella stanza le esplosioni si ripetano, ma rimangano circoscritte. Come se si potesse contenere il male. Costruire un’incubatrice dove isolare la morte. Così al di fuori la gente può continuare a vivere, senza aver paura di ritrovarsi spalmata su un cartello che dice “Dirección Hospital Infanta Sofía”.
Lì dentro, nel silenzio, è quasi impercettibile l’eco delle urla di Marzo. La cupola regala i rumori della superficie. Lassù, la vita prosegue. Le automobili passano e la gente torna a casa, davanti alle televisioni, dove quelli in giacca e cravatta dicono che sconfiggeranno i cattivi con i turbanti in testa. Poi però, quando la telecamera è spenta, il cattivo con il turbante stacca un bel assegno.
Gli affari vanno una bomba. Mentre la gente, quaggiù, se muere.

Mister F


Dazio di sangue

Sembra che non possa esserci serenità senza mediocrità. L’unico modo per tirare un sospiro di sollievo sta nell’adagiarsi su un letto di letame chiamato ordinarietà. Siamo in una gabbi di filo spinato e chi cerca di uscire per scoprire cosa c’è al di là del ferro è destinato a sanguinare. Nessuna ora d’aria, il premio per buona condotta consiste in una cella più comoda. Dentro c’è tutto ciò che serve, dunque perché uscire? Perché voler essere di più?
C’è una voce che mi dice che da lontano si vede meglio. Ti accorgi di cose che non puoi notare quando hai il naso schiacciato sul vetro. E allora via, allontanati da tutto, vedrai che bella prospettiva laggiù. Ma per arrivarci, devo attraversare il recinto. Devo pagare il mio tributo di sangue. I mediocri lo vogliono, fino all’ultima goccia. Volete il mio sangue? Lo avrete.
Mi trancerò via una mano con un colpo di accetta e userò il braccio come un idrante. Disegnerò cazzi di sangue sui vostri muri. Sangue sui palazzi, sulle strade, sui sagrati delle vostre belle basiliche. Ve lo farò ingurgitare e vi attaccherò le mia malattie. Globuli rossi, globuli bianchi, piastrine e virus. Tutto dentro di voi. Su, da bravi, tappate il naso e buttate giù. Se sopravviverete, diventerete come me. Avrete voglia come me di oltrepassare il filo spinato. E chiunque voglia unirsi a noi, non dovrà fare altro che seguire la scia di sangue.

Mister F