Hamdulillah

Non mi ci sono mai sentita. Anzi, fino ad una certa età non ci ho mai pensato. A casa mia non se ne parlava e quindi a posto così. Avevo già abbastanza problemi: non piacevo a nessuno e mi tiravano le pietre. Sei diversa, dicevano. Anche se io mi vedevo uguale a loro. Siamo nati tutti a Roma, ho due gambe due mani due occhi, come voi. Non c'è stato verso, non li ho mai convinti. Poi una sera che me ne stavo a scrivere sui miei inutili quaderni, mia nonna entra con i suoi occhioni azzurri e mi racconta la storia di suo marito. Chi cazzo se l'era mai immaginata una storia come quella! Ecco a cosa ho pensato mentre salivo sull'aereo per Beirut. Ho pensato alla storia che mi ha raccontato mia nonna. Perché in fondo anche ora, che sono passati tanti anni, non mi ci sento. È stato solo quando sono atterrata, quando i soldati al check in mi hanno controllato i documenti; è stata la sera in cui mi hanno fatto mettere l'hijab che per un attimo, anche se poco, ho cominciato a sentirmici. Il Giornalista diceva You're so arabic. Mi piacciono gli uomini che parlano tante lingue quindi in mezzo secondo ero innamorata di lui per sempre - anche se adesso mi è già passata. Quando mi ha chiesto se fossi dalla parte di Hezbollah ho detto Certo, perché nessuna persona sana di mente potrebbe trovare qualcosa da eccepire. Shhh non dirlo ad alta voce, dicono i libanesi ma io ho l'arroganza delle donne occidentali e mi sento intoccabile, anche quando i soldati si lucidano il ferro (diciamo così). Questo vuol dire che non mi ci sento o avrei paura anche io. Invece vaffanculo, sono bianca, passaporto italiano - non mi faranno niente. Non ho mai davvero paura di morire, e a volte questo è il tuo peggior difetto, dice il Giornalista con cui per due ore siamo stati innamorati per sempre. Sei una coatta dell'Eur, dice perché è di Roma anche lui. Ma io non sono mai stata una coatta, tantomeno dell'Eur. Quelli che mi tiravano le pietre lo sanno bene, chiedete a loro. A vedermi così, con questo hijab in testa non si direbbe. Lebanon?, chiedono i libanesi per sapere se sono una di loro ma no, mi dispiace, non sono nemmeno una di voi. E allora perché Hezbollah? Perché sta dalla parte del popolo, perché lotta contro l'occidentalizzazione del Medioriente. Resistenza! Ah, e già che ci siete mettetevela nel culo la democrazia. Qui tutto profuma come ci si aspetti che profumi Beirut. Ci sono le strade e i palazzi un po' così. Così come? Così... come nell'Italia di Anna Magnani. Non siamo tanto diversi. Anzi, qui non sono diversa nemmeno io. Potrei addirittura dire che sono simile. Ma no, non sono libanese. Sono italiana - 100% italiana di Adalia. 100% Ayyıldiz ma tricolore. Fratelli d'Italia... com'era? Se dovessi scegliere tra musulmana e cristiana resto atea, anche se l'hijab mi sta un amore - due giri ed è subito terrorista. Il caldo è umido, i vestiti mi si incollano addosso, qui si fanno tutti le canne e scopano tra loro, maschi femmine, meno male che non ci sono i cani. You're not pansexual? Chi non lo è di questi tempi. Ma devo prima innamorarmi moltissimo, fosse anche per mezz'ora. I'm... Come diceva quel dottore? I'm promiscuous ma con mucho amor. Per una cosa come questa in Libano ti appendono al cappio, cerchiamo di non essere troppo internazionali almeno per strada. Che esagerazione, ormai dal 2014 non uccidono più neanche i collaborazionisti di Israele, al massimo vai in galera. La solita italiana bianca arrogante. Che buono il Libano, pieno di strade dove non c'è proprio nessuno che possa farti la morale. Forse prima che Israele si mangiasse la Palestina, magari quando i sunniti di Hussein avevano il controllo dell'Iraq, quando la Mezzaluna fertile non aveva conosciuto la piaga della liberté egalité fraternité. Ma adesso, strade vuote, angoli dimenticati, posti dove si può andare quando ci si vuole perdere. Poi il centro ok, tutti sti turisti che vengono a vedere quanto è esotico essere messi in ginocchio dal resto del mondo.

Chicana

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Un giorno mi dissero: << ma cos’hai in quella testa? >> E mi resi conto che non lo sapevo bene neanche io.
Allora decisi di entrare.
Chiusi gli occhi e di fronte a me c’era una porta di legno piena di graffi. Era socchiusa, quasi un invito ad entrare.
Mossi i primi passi ma sentii subito gli scricchiolii. Il pavimento era di vetro. Allora avanzai in punta di piedi, le dita erano gocce di pioggia sui tasti di un Hammond. Piccole lucciole mi saettavano intorno, confondendomi con il loro scampanellio. Dispettosi, sogghignanti, volavano veloci e non c’era verso di prenderli.
Le pareti di pietra erano immense e umide, un manto di condensa spalmato sopra. La luce entrava da piccole fessure e cambiava direzione per non dare punti di riferimento. Poi simultaneamente le vidi, dita di luce puntate tutte su di me. L’intruso era stato riconosciuto.
Una voce sibilava alle mie spalle, invitandomi a sottopormi a giudizio. Davanti a me un solco sbilenco nel vetro tracciava un confine. Ai lati, migliaia di corpi nudi in attesa di verdetto.
<< Cosa aspetti di vedere? >> chiese la voce.
<< Bene e male >> risposi.
Un urlo entrò nelle orecchie come una lama. L’uomo cieco era arrivato. La testa era completamente fasciata di bianco e lì dove avrebbero dovuto essere gli occhi c’era una scia di sangue rosso, così scuro da apparire nero a volte. Aveva in mano una pistola e sparava a caso. Le pallottole trapassavano corpi a destra e a sinistra del confine. L’uomo cieco sparava a caso e buoni e cattivi morivano insieme. Le pallottole scivolavano sulla condensa o si conficcavano nella pietra. L’uomo cieco urlava e non la smetteva di sparare. Aveva munizioni infinite e un dito instancabile.
<< Che tu sia stato buono o cattivo, credo ti convenga abbassare la testa >> disse la voce.
I proiettili fischiavano come falchi in picchiata. Ero accucciato a terra, con le mani sulle orecchie e non capivo. Non capivo il perché. Cercavo una risposta, ma non la trovavo.
Allora arrivarono i lamenti. I corpi erano trafitti e le anime abbandonali gridavano vendetta, ululavano verso coni di luce argentea.  La luna cercava di entrare ma non aveva il permesso.
La temperatura si alzò all’improvviso e ogni lamento divenne un grido. La rabbia esplose  e lasciò crepe sulle pareti. Il vetro andrò in frantumi e rimanemmo sospesi in un vento di ira. Il ciclone si era formato e faceva da veicolo per le grida disperate. Il cielo si andava smontando e l’Inferno cercava di sprofondare ancora più giù, pur di non sentire tutto quel baccano. Le pallottole vagavano e facevano filotti di buoni e cattivi. Onesti, imbroglioni, gelosi, altruisti, empatici e psicopatici accumunati dalla stessa forma di carne che veniva traforata dal piombo.
La conta dei morti saliva e così quella delle anime ululanti e alla fine rimasi solo contro un esercito di spiriti. Ognuno di loro aveva cercato la sua giustizia e ognuno di loro aveva fallito.
Rimanevo solo io adesso. Io che pensavo ci fosse giusto e sbagliato, bene e male. Io che avevo commesso il più grande dei peccati, ora ero la vittima sacrificale del grande circo dell’umanità.
L’uomo ceco scappò nel buio, urlando e sparando.
Il giudizio universale era iniziato e i tamburi di ingresso battevano come dannati. I miei timpani si aprirono come petunie e ora era il giunto del confronto. Finalmente capii chi avevo di fronte. Tutte le versioni possibili di me. Le infinite combinazioni si erano radunate e sacrificate per l’uomo cieco, cavaliere della casualità. Le cose posso andare in un solo modo, le alternative soccombono. Il caso uccide tutte la chance, meno una. Ma lì dentro, in quella grotta ora squarciata e illuminata da una luna spietata, si contorcevano tutte le mie versioni alternative nate dai pensieri inutili del quotidiano. Erano frutti di quel cancro chiamato preoccupazione. La mia mente intrappolata in un loop di pensieri aveva generato ogni possibile singolarità. Ed ora tutte erano pronte ad attraversarmi. Sentii venti gelidi e bollenti alternarsi, al passaggio delle anime ingorde. Le voci erano milioni e parlavano senza sosta.
Ogni diramazione del destino generata da ogni scelta della mia vita mi stava trapassando da parte a parte. Era un mormorio inarrestabile e giunto nell’apice del suo piacere sadico si permise di aggiungere una punta di compassione.

Povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me povero me

La rabbia, motore di ogni sentore umano, vera forza origine dell’universo, accelerava il ritmo e ogni spirito era una freccia infallibile. Non era dolore ciò che provavo, ma una fitta di impotenza ad ogni passaggio. Più veloce. Più veloce. Sempre più veloce.

Povero povero povero povero povero povero povero lui
Povero povero povero povero povero povero povero lui
Povero povero povero povero povero povero povero lui
Povero povero povero povero povero povero povero lui
Povero povero povero povero povero povero povero lui
Povero povero povero povero povero povero povero lui

Silenzio

Gocce di mercurio mi cadevano in testa, nel silenzio assordante che lascia quel biiiiiiiip inconfondibile quando esci da un delirio di decibel. Tornarono le lucciole – dove erano finite – ma solo per ridere di me. I risolini divennero ghigni, poi starnazzi e le risate di corpo ora erano grida sadiche e tornò la voce del cieco – solo la voce – a sconquassare le pareti di pietra che crollavano sfiorandomi le braccia. Tutto era pronto al collasso sotto le grida della rabbia universale che nasce dalla ricerca di un senso che non c’è mai stato e mai ci sarà.
Lo spazio si distorse per un attimo e subito dopo sentii un branco di cavalli avvicinarsi al galoppo. Quando la luna decise di mostrarli, vidi stalloni giganti con gli occhi rossi, il pelo come petrolio e la bava tra i denti. Avevano zoccoli grossi come macigni e al loro passaggio la demolizione fu totale.

Mi travolsero.

Tutto esplose in un trionfo di sfoghi e quando il tocco finale della campana riportò tutto alla calma, mi resi conto che intorno a me non c’era più nulla, se non un senso di deliziosa e immotivata pace.

Qualche giorno dopo mi dissero: << ma cos’hai in quella testa? >>
Ci pensai un attimo, e sorrisi.

Mister F