The third millennium race

Sono l’uomo del terzo millennio, e corro.
Il tempo è poco, le cose da fare troppe. Troppe.
Mi sveglio di corsa. Alle sette la sveglia, alle sette e dieci secondi in piedi. Comincio a camminare con gli occhi ancora abbottonati. Non c’è tempo per abituarsi alla luce. Latte e caffè. Anzi, solo caffè, che si manda giù prima. Bisogna essere svegli, pronti. Il mondo chiama, dobbiamo andare.
Mi lavo di corsa. Acqua, sapone, e si lavano via i ricordi della notte. L’ingombro dei pensieri lo buttiamo nel cesto dei panni sporchi. Su, su. Non c’è tempo da perdere.
Bisogna andare a lavorare. Produrre. Partecipare al profitto dell’azienda. Bisogna essere efficienti, veloci, concreti. Ma quale favore? Chi sei tu? Non mi interessa il nome, che reparto sei? Numero di matricola? Mai sentito. Non faccio favori. Io devo fare il mio. Tu devi fare il tuo. Fallo bene. Fallo veloce. Quantità e qualità.
Sono l’uomo del terzo millennio, e sono veloce.
Dopo il lavoro, si va in palestra. Mens sana in corpore sano. Tanti esercizi, che se ne faccio pochi, che ci vado a fare in palestra? Forza, animo. Su e giù. Ancora. Non c’è tempo per le pause, devo essere a casa per le otto.
Caspita, oggi c’è la lavatrice da fare. Forza, forza. Bisogna accelerare. Spingi quel pedale. Che si fottano i pedoni, dobbiamo andare a casa. Abbiamo cose importanti da fare. Non possiamo perdere tempo per gli altri. Dobbiamo arrivare prima degli altri. Dobbiamo arrivare primi.
La mail l’ho mandata? Devo lavare la macchina. Quella pratica deve essere pronta per domani. Il cane ha la visita. Devo partecipare a quel convegno. Altrimenti niente promozione.
Che cosa? Sentimenti? No grazie, ho smesso. Non ho tempo per quelli. Bisognerebbe fermarsi, respirare, riflettere.
Guardare negli occhi le persone.
Capirle.
Troppo complesso. No, non fa per me. Io devo pensare a me. Io non voglio essere, voglio fare. Riempire il vuoto con le azioni. Quante più possibili. Veloce, veloce. Ancora più veloce. Sono così veloce che posso volare. Guardami.
Sono l’uomo del terzo millennio, e volo.
Volo verso lo spartitraffico. Perché la macchina non frena? Mi sa che tra tutti gli impegni, ho saltato la revisione dal meccanico. Adesso è troppo vicino lo spartitraffico. Mi sa che vado a schiantarmi. Vabbè, però facciamo presto. Che ho da fare.
Come dici? Non esco vivo dalle lamiere?
Ah.
Caspita.
A questo non avevo pensato.
Ho vissuto così velocemente, da non pensare alla morte. Maledizione, che spiacevole imprevisto.
Vabbè, almeno speriamo sia sul colpo. Così mi sbrigo ad andare all’inferno. Che pure lì, avrò un sacco di cose da fare.
Su su, veloce. Non ho tempo da perdere.

Mister F



New Orleans

Siete mai stati a New Orleans? No, ma che cazzo ne volete sapere di New Orleans. Se anche ci siete passati, avete sicuramente pensato alle cose sbagliate. Il jazz, sì. Ora ascoltano tutti il jazz. Bravi. Il Voodoo Garden di Marie Laveau, applausi. Avete comprato la bambolina con gli spilli? Il filtro d'amore ha funzionato? Avete scopato almeno quella notte? Io non vado più a New Orleans, ho visto i demoni e mi hanno fatta a pezzi, quasi morta, posseduta, con gli occhi girati e il cerchio di fuoco che urlava parole yoruba, e i demoni che mi dicevano Adesso muori. Invece non sono morta, non come intendete voi. Ma che ne sapete della morte. C'erano i serpenti e le galline e il male mi tirava da dentro verso il basso, con le ginocchia sulle pietre voleva risucchiarmi, le  mani e le gambe mi sprofondavano nella terra, e non riuscivo a resistere. È come quando la tentazione è una calamita, vi è mai successo? La pelle vi chiama, spinge da dentro, dice Vieni. La mia pelle dice Vieni da me. Ma sono un inganno del demonio, una trappola, una posseduta piena di formule nere. Chi resta, morirà. E forse questo è un segreto che non dovrebbe mai essere detto. Non sono più tornata a New Orleans, la strega dice I demoni erano già dentro di te. Non erano stati così forti finché il vaso dei mali non è stato aperto, la formula è stata detta e il cerchio è stato chiuso. I Loa mi hanno parlato all'orecchio, hanno marchiato col fuoco più parti del mio corpo e hanno tagliato gole in nome di Papa Legba, hanno detto Morirai più volte e la rinascita sarà dolorosa, nel sangue e nel pianto e Oshun darà il tuo nome all'acqua, questa sarà la tua natura, impossibile da prendere. Vieni da me per annegare, dice la mia pelle. Questo è tutto ciò che so di New Orleans.

Chicana


Lei

E’ lei, che piomba dal cielo come una saetta e brucia tutto intorno. Che scende in picchiata, aquila affamata di desiderio, e ti arpiona la mente rendendoti suo schiavo. Chi ti fa strisciare ai suoi piedi, osservandoti coma un dio capriccioso in una giornata senza memoria. E tu strisci, ti fai strada nel fango, sperando che lei ripulisca la patina delle tue paure.
E’ sempre lei, che affonda le unghie nel cuore e lo annaffia col veleno della sua saliva. Che ti spreme come una spugna ormai inutile. L’ultima goccia ti saluta, e tu finisci tra i rifiuti. I tuoi rifiuti, alle sue richieste.
E’ ancora lei, che fa scarabocchi sulla tua anima. Scrive compiaciuta e poi ci ripensa, accartoccia tutto e ti getta nel fuoco. E così, foglio dopo foglio, la tua cenere inquina il mondo. Mentre il suo inchiostro ti entra sottopelle, come un tatuaggio. Così che tu non possa più liberarti di lei. Neanche quando se ne sarà andata.
E’ lei, la Parca che gioca coi tuoi fili. Arrotola e spiega, spezza e riannoda. Lei decide la trama della tua esistenza. Tu puoi solo imparare a convivere con il dolore.

Mister F


Strade

Vedo strade senza bivi, vedo bivi senza strade, tanta gente lungo i bordi, poca sulle barricate. Strade vecchie 'e cinquant'anni come la Salerno-Reggio, strade che son fatte male e strade che son fatte peggio. Strade di raccordo, strade di periferia, strade senza uscita, strade da "Maronna mia pienzaci tu!". Strade che non voglio fare più, strade grigie come il cielo di una notte senza il blu. Strade che costeggiano ville da miliardari, strade che attraversano quartieri popolari, strade di mignotte, di gente che fa a botte, strade rotte come il pianto di una madre nella notte. Strade che si sono prese i figli troppo presto, strade di pattuglie pronte a fare qualche arresto, strade in dissesto, strade condannate a incrociare altre strade. Strade che non danno resto. 
Strade in overdose e in astinenza, strade zeppe d'opinioni... e strade senza, strade di Resistenza, strade dove inizia ad albeggiar, strade con le scarpe rotte eppur bisogna andar. Strade da percorrere all'indietro, dure come roccia e in frantumi come vetro, e metro dopo metro ricordarsi dei ricordi, strade per gente per bene e strade per balordi. Strade di evasione ed elusione, concussione e corruzione, di progetti e delusioni. 
Strade d'immigrazione, disperati sui barconi degli scafisti, strade di fascisti in doppiopetto e di leghisti.

Kuzjah


I.G.U.S.

Non era la Route 66. Era la via Emilia. E faceva caldo, un caldo boia. Quello appicicaticcio di metà luglio, con le zanzare che dalle roggie salivano a sorseggiare sangue fresco, gioioso, ricco di ormoni. Erano sempre le 14, mai un minuto prima, mai un minuto dopo.

Ci si puntellava alla “ciambella”, uno spiazzo mattonato nel bel mezzo del parchetto comunale. Il tempo era solitamente giusto. Quello delle canne e delle bestemmie aggratis. Delle vacanze estive e dei parenti da andare a trovare. Si arrivava sgommando e scarenando. La sigaretta accesa in bocca, il casco allacciato sul braccio, i capelli sconvolti e raccolti in una coda. Il coltellino nelle tasche dei jeans a pizzicare un pò, ma necessario perchè le battute di caccia erano in qualche modo aspre.

Volavano battute e apprezzamenti volgari, poi si schizzava insolenti. In batterie da tre o quattro bikers. Un rosario di giovanotti lungo la strada, ben allineati ai semafori. I bicipiti pulsanti al ritmo della marmitta. Era la banda dei “minchia oh!”, con la miscela in perenne riserva e la catenina d’ora sopra la maglietta. Il sole delle alpi sferzava i bolidi riccamente gommati. Il mondo era alla portata di un rutto.

La provinciale squamava come burro fuso, i capannoni industriali preannunciavano l’età del lavoro coatto, provocando una sequela di sensazioni che spaziavano dal mal di testa alle flautolenze impertinenti. Bisognava arrivare presto. E bisognava arrivarci da fighi. Alle fighe. Con tutta la sfrontatezza dell’essere sottoproletari adolescenti, reietti delle case popolari, ma con un solo obiettivo: da tamarri, correre più veloci del vento!

Orofino


Benvenuti a Paradisonia

Quando arrivai a Paradisonia, mi accolsero a braccia aperte. Un esercito di sorrisi di plastica e tette al silicone. Erano tutti contenti, ma non sapevano perché.
Mossi i primi passi all’interno della città, guardandomi intorno con sguardo interdetto. Ville sontuose adagiate su chiazze di verde purissimo. Sogni fatti di mattoni rossi e grigi. Nessuno era invidioso dell’erba del vicino. Tutta l’erba era perfetta.
Mi portarono al Bar della piazza principale. Completamente spoglia di monumenti. Neanche una targa per ricordare qualche povero stronzo caduto in guerra. Poi mi spiegarono che da Paradisonia, nessuno era partito per la guerra. A Paradisonia, nessuno sapeva cosa fosse la guerra.
Entrai nel Bar e chiesi un amaretto con ghiaccio. Mi risero in faccia. A Paradisonia, nessuno sapeva cosa fosse l’alcool. Mentre mandavo giù a forza un succo d’arancia, provai ad infilarmi in qualche discorso. Fu in quel momento che le mie ginocchia tremarono.
Non erano vere e prove discussioni. Ognuno dava ragione all’altro. L’ambientalista diceva che dovevamo salvare la natura. E tutti gli davano ragione. L’emiro diceva che il petrolio era il futuro. E tutti gli davano ragione, anche quelli che due secondi prima l’avevano data all’attivista verde. L’animalista difendeva i diritti di cani, gatti, coccodrilli e anche dei due leocorni. E tutti gli davano ragione. Il vegano diceva che gli onnivori erano assassini. E tutti gli davano ragione. Il dietologo diceva che la carne doveva essere presente nella nostra dieta. E tutti gli davano ragione. Anche il vegano.
Tutti avevano ragione.
Poi magari, rinchiusi nelle loro case perfette, ognuno continuava a fare il cazzo che voleva. Ma tanto avevano tutti ragione, quindi i problemi non esistevano.
Quando mi resi conto della situazione, chiesi gentilmente al barista di accompagnarmi sulla terrazza dell’edificio, per fare una foto panoramica di quella bella città. Giunto in mezzo alle parabole della tv satellitare, che farciva di merda i crani della gente e li assicurava che “anche oggi, a Paradisonia, va tutto bene”, sentii il vento soffiarmi il faccia. Il vento, l’unica cosa ancora viva a Paradisonia.
Sotto gli occhi attoniti del barista, feci uno scatto in avanti e mi lanciai verso la piazza. Quella piazza dove non avevano messo neanche una fottuta fontanella, non sia mai qualcuno avesse avuto da ridire sullo spreco dell’acqua.
Splat! Finalmente una chiazza di sangue, in questa città perfettina del cazzo.

Mister F


Volubili tracce di fuoco

Al fuoco non si mente. Difficile sdoppiarlo o aspergerlo con carte tarocche. La mente si libera assottigliandosi come carta carbone mentre i volti fluorescenti di una filigrana dorata sfumano ogni imperfezione epidermica. Diventano morbidi i pensieri, si addolciscono felpati. Introducono  movimenti setosi, a tratti sapienti, con gesti che si ripetono millenari, quasi fossero il tocco misurato della terra in procinto di partorire uomini e nutrie.

Non c'è cattiveria innanzi al fuoco, come potrebbe essercene? Egoismi e invidie scoloriscono nel bitume nero della vita, serpenti luciferini soccombono sotto il piede della Vergine. Ci si ammanta del calore contadino e alle parole pronunciate per ferire si preferiscono comprensibili silenzi che non ammettono interruzioni.

Il fuoco espelle il tempo, tutto il resto rappresenta una consistente fetta di inutile minuteria. La fisica e la biologia brillano nella brughiera e gli orologi resettano i rintocchi: con le mani si pettinano i capelli una, mille, un miliardo di volte.

Guizzi sulla brace, legna tosta che arde in un pingue amplesso d'amore, il camino - tac bum bam - eleva al quadrato i ricordi. L'ambiente è pura metafisica cui guardare assorti in attesa che anche l'ultima scintilla ascenda al cielo. E al tizzone, in lenta agonia, vengono affidate preghiere di vita in cui si contaminano prodromi di morte

Orofino


Trattate da femmine

Ci sei mai stato in un macello? C'è sangue, solo quello. Sangue e odore di sangue. Ci sono gli animali spellati come pannocchie e gole tagliate e occhi morti e coltelli e gente che per vivere fa a pezzi carcasse. Ti dico che per aprire una vacca ci vuole la mano, come anche per spingerla in salita o per metterle il braccio dentro e inseminarla, a forza, ripetutamente, che se non lo sai per fare il latte bisogna che prima abbia dei piccoli per cui produrlo. E i piccoli nascono, a forza, ripetutamente, ma il latte non lo avranno mai. E tu continui a fare dentro e fuori con quel braccio per mettere semi, tirare latte, curare mastopatie. Le femmine funzionano allo stesso modo in tutte le specie, mica puoi metterle incinta e tirare latte e aspettarti che non succeda niente. Non essere così ingenuo. E se non figlia o non riesce a fare più il latte, puoi sempre usarla per la carne. Quando l'utero è sfondato o sono troppo usate, non puoi credere che basti la Nona di Beehetowen per fare rilassare. Devi essere gentile, farle a pezzi dicendo al loro orecchio parole dolci. Accarezzarle sul culo un attimo prima di sparare in fronte, dritto al centro, e prendi bene la mira perché la seconda occasione è da perdenti. Sono come tutte le altre femmine, puoi ucciderle ma per favore lascia stare la morale della vittima. Davvero, non serve. Basta qualche parola, con il tono giusto, lo sai fare sicuramente. E solo allora puoi affondare il colpo, dire Ti piace così? Vedrai che funziona, è una ricetta millenaria. E, dopotutto, è stato Cioran a dire che le donne sono amabili nullità. Mica io. C'è una verità superiore che non c'entra niente con il femminismo e tutte queste stronzate come farsi crescere i peli sotto le ascelle e nemmeno con "quelli che hanno letto tutti i libri ma non sanno che vuol dire vomitare in autogrill", faceva così la canzone, no? Ascolta il cuore, non sbaglia mai.

Chicana