Ieri è un altro giorno

Mi dicono che sono vecchio. Perché ho trent’anni e sono già nostalgico. E allora? Lo diceva anche Einstein che il tempo è relativo, no? E allora io faccio il nostalgico a trent’anni.
Perché anche se ho trent’anni, me ne sento cinquanta addosso. Mi dicono: “stai dritto con quella schiena”. Eh, prova tu a starci dritto, con il peso di vent’anni extra sulle spalle.
Ogni tanto mi guardo dietro. Mi ci scappa l’occhio, non posso farci nulla. E’ come un tic. Faccio uno scatto con la testa e mi capita di osservare quei momenti in cui sembrava tutto facile. In cui mi dicevo “ci penserò quando sarà il momento”.
Il momento poi è arrivato senza preavviso. Ha buttato giù la porta, l’ha scardinata con un calcione a spinta. Poi ha suonato il campanello. Il momento mi ha trovato nudo sul divano, mentre ancora mi masturbavo con i film erotici dei canali regionali.
Mi ha fregato quel momento in cui domani è diventato oggi e oggi è diventato ieri. Da quel momento in poi, io ho continuato a guardare ieri, di tanto in tanto.
Ieri potevo passarla liscia. Potevo mascherare i debiti con la vita, rimandarli. Ieri potevo nascondermi, eludere i controlli. Oggi non me ne passano una. Ogni errore viene ripagato. Con gli interessi.
Ieri potevo chiudere gli occhi e prendere tre o quattro respiri. Potevo scostare le incombenze con un gesto della mano, facendole scivolare al giorno dopo. Oggi deve essere tutto e subito. Se oggi ne salti una, domani saranno due. E non è una cosa che si ferma. Anzi, ti sembra che peggiori ogni giorno.
Ieri era tutto più colorato. Sì, a volte lo era così tanto da farti male agli occhi, da farti venire la nausea. Ma ieri era facile riprendersi dalla nausea. Oggi è tutto più spento, più grigio. Ed è molto più difficile riprendersi dalla nausea. Gli hangover si allungano ogni anno di più.
Ieri, per uscire di casa ti facevi sedurre dal buio e tornavi solo dopo il rimprovero delle luci dell’alba. Oggi, la luce ti dà fastidio come fossi un vampiro, e quando cala il buio la giornata ti si aggrappa sulla cervicale e ti trascina a letto.
E quando ieri torna prepotente, quando la tua mente si ribella e torna indietro nel tempo, ne senti tutte le conseguenze. E ti ripeti che questa è l’ultima volta. Ma non lo è mai.
“Ciccio, non hai più l’età per certe cose”.
Fatti i cazzi tuoi. Tu hai abbandonato ieri per vivere lo squallido oggi. Anonimo, bianco, freddo come il metallo. Lo sai che c’è? Io ieri me lo porto appresso. Mi porto appresso la sua energia, i suoi colori, la sua spinta verso il vuoto. Oggi volo libero grazie al ricordo di ieri. A quel bagaglio che mi porto nella testa e che fa di me ciò che sono.
E allora, quello che facevo ieri, lo faccio anche oggi. Eludo i controlli, scosto le incombenze, mi innamoro del buio, macchio il vostro grigiore con sbratti di colore. Volo.
Ieri era bello. Quindi io continuo così.
Anche se rischio di fare una brutta fine.

Mister F


Greenwich Village

"Sai cosa non mi hai mai chiesto? Se ho paura. Non me lo chiede mai nessuno. Giri a NYC da sola, hai paura? Sì. Ho paura. Non li leggi i giornali? Non guardi la tv? Il cartone del latte dice che le persone scompaiono come mosche. Era una così brava ragazza, è andata a Montauk e non è tornata più. Vattela a pesca dove sono finita, se mi prendono. Magari mi buttano da qualche parte in New Mexico o in Missouri, che equivale a dire che non ti troveranno mai. Col fuso orario poi mentre qualcuno si accorge che sono scomparsa, figurati. Hanno tutto il tempo di portarmi in Florida e buttarmi sotto qualche capanno distrutto dell'uragano. E ciao ciao. Da New York a Los Angeles ci sono più di quattromila miglia, cioè un giorno di auto - che significa: scomparsa per sempre. Nemmeno ti cercano. Ho paura, sì. Non me l'hai mai chiesto perché forse hai paura di scoprire che anch'io ho paura. Ho paura perché l'ultima volta che mi sono fidata me la ricordo ancora, mi è costata 19 anni di analista. Soprattutto qui dove a volte il loro inglese non lo capisco, mica siamo in California. A questi non va mica di ridere e perdere tempo, che vuoi tu con sta faccia da libanese? Come faccio ad andare dal Queens al Village? Sono dodici miglia, senza traffico ci vuole mezz'ora - ahahah, senza traffuco. [Turisti]. Con la metro scendi a Delency e due passi fino alla Rivington, da Freemans alle 8pm puntuale. Non c'era bisogno di precisare. Sei italiana, non si sa mai."

Chicana 


Scannatura

All’inizio era la fase della scannatura. Gli uomini arrivavano presto la mattina. Lui li sentiva con il passo pesante e con l’alito che sapeva di alcool e morfina. La sera prima gli davano da mangiare ghiande e erba, come estremo gesto di beffarda carità. Entravano all’alba, con un sole pigro in lontananza. Lui si nascondeva nell’angolo più lontano, al buio, dove aveva passato mesi a defecare e a ruminare merda mista a paglia. Si appiattiva alla parete, indurendosi come un tronco di legno. I nervi contratti, gli arti rigidi, un filamento di bava pendente dalla bocca. Grugniva nell’universalità del lamento. Non c’era cuore che poteva ascoltarlo. Perchè quello non era il suo tempo. Lo afferravano smanando sul suo corpaccione. Qualcuno arrivava sempre alle spalle. Sollevandolo da quella terra in cui si era rotolato per mesi, tra schizzi di fango e poltiglie di melma. Un altro lo teneva stretto per il collo, mentre a quel cielo sordo e cattivo levava i suo rantoli. Il respiro diventava affannoso. Poi selvaggio, rabbioso. Sembrava un demone quello a cui tagliavano la gola, con un grosso coltellaccio, di quelli da cucina, di quelli che perforano la carne senza chiederle permesso. Si dimenava in maniera scomposta, innaturale. Non c’era più coordinazione, ma solo parodia di un’esistenza.
La lama segava la trachea e fontane di sangue irroravano la terra. Tutti gridavano. Vittima e carnefici, insieme, come insoliti compagni di merende. La nebbia sugli occhi, l’afflosciarsi dei muscoli. Intorno non più voci, solo versi. 
Sentiva freddo. E uno strano formicolio nel fondo del ventre. Era ora di cadere, di lasciarsi insomma vincere, corpo senza anima, vita senza storia. Ancora un attimo. Prima del cielo, prima del mare e del mondo, prima della creazione e di ogni altra cosa ripensò a quell’ultima volta, tanto tempo fa, quando sua madre gli rimboccò le coperte dicendogli “Amore, dormi sereno. Non ti capiterà mai nulla di male”.

Orofino



Autocertificazione

Sono un coglione. So che molti di voi avrebbero voluto l'esclusiva, avrebbero voluto assaporare il momento giusto per annunciarlo alla folla. Invece vi prendo in contropiede, vi rovino l'attimo, come quelle pornostar che ti segano fino al secondo prima dell'orgasmo e poi mollano improvvisamente la presa. Ruined orgasm, una categoria molto in voga su YouPorn. Sì, perchè io vado su YouPorn. Quando la tua donna non ha fantasia, il buon vecchio Internet ti tiene compagnia. Passo le notti a vedere mamme porche che cavalcano l'amico del figlio o malvagi cazzi alieni che seminano sperma e terrore sulla Terra.
Sono malato. Cerco universi paralleli peggiori di quello in cui vivo. Non è neanche una cosa facile. Trovare un posto peggiore di questo letamaio, dove salto allegro da uno schifo all'altro. Eppure li trovo, questi pozzi di sterco. E ci faccio il bagno, tutto contento. Rido delle disgrazie mie, perché quella altrui sono noiose. Ommioddio, ti si è rotto lo smartphone. La tua vita è finita. La tua vita schifosa è finita quando te lo sei comprato, quel dildo luminoso con il quale ti sollazzi il buco del culo. Io preferisco ingropparmi le serrature delle porte.
Sono asociale. Se al tavolo ci sono più di quattro persone, comincio a stranirmi. Le voci si accavallano, non ci capisco un cazzo. Con chi stavo parlando? Di cosa stavamo parlando? Tu che fai nella vita? Mah, lavoro, ho una famiglia, dormo otto ore e rispetto il prossimo. D'estate non esco nelle ore più calde e bevo tanta acqua. Oh, che meraviglia. Beato te. Io non ci riesco.
Io ad Agosto esco alle due di pomeriggio e urlo come un pazzo. Sudo l'alcol della sera prima e vomito al parco, vicino al campo di pallone. Corro sudato, così mi sento male. A Dicembre, esco nudo sul balcone e me lo sbatto sulla ringhiera, urlando che Dio è morto.
Sono aggressivo. Mentre il capo mi spiega come andrebbe svolto quel lavoro che faccio da dieci anni e che lui non ha mai visto nemmeno in cartolina, sogno di legarlo ad una sedia e infilargli la lampada al neon giù per l'esofago. Poi comincio a tagliuzzarlo con il temperino che è nel secondo cassetto. Gli incollo le palpebre e lo lascio con gli occhi spalancati davanti al monitor, dove una webcam in diretta da casa sua gli farà assistere ai servizietti che la moglie sta facendo all'operaio di colore. Quello che gli sta imbiancando la casa. E la moglie. 
Sono uno scarto, un errore. Il sale nel caffè. La lattina che rimane incastrata nel distributore. Il sassolino nella scarpa. La zanzara nell'orecchio. La multa il lunedì mattina. Il treno in ritardo. Sono la persona sbagliata, nel luogo sbagliato al momento sbagliato.
Nella cerimonia di inaugurazione delle olimpiadi del fallimento, io porto lo stendardo di una nazione fantasma. Dietro di me non c’è nessuno, perché hanno tutti sbagliato corsa e nessuno si è presentato.
Avrei dovuto seguire i vostri consigli. Rispettare la linea gialla. Mettermi a pecora, come un parcheggio di biciclette.
Avrei dovuto capire come funziona la vita.
E invece non ho capito un cazzo.

Mister F


Fermo

Buongiorno terrestri,
l'estate volge al termine e la routine sta per imprigionare nuovamente le nostre esistenze. Poco male, così va il mondo: il Sole sorge e tramonta, la Luna fa più o meno lo stesso. Piove, ma non può piovere per sempre, come ci ricordava un vecchio film tratto da un vecchio fumetto.
Si ricomincia anche a Radio Sabotag. Le nostre frequenze torneranno ad inquinare l'etere e la rete, con le fiammeggianti parole di sabotaggio e il crudo sapore del sangue e della benzina. Ma non ci sarà solo questo: abbiamo deciso di aprire anche ai poeti, a coloro che preferiscono esprimersi con una forma di scrittura ancora più breve del post. E speriamo che i nostri ascoltatori poeti vogliano fare come Fade, il primo ascoltatore che ci ha mandato una sua poesia e che pubblichiamo di seguito. A tutti voi terrestri diciamo che Radio Sabotag ha bisogno di odori e sapori dentro le parole e dentro le note di ogni canzone pubblicata. Sensazioni eteree ed emozioni forte. Se volete fare come Fade e mandarci una poesia o un post, sentitevi liberi di farlo. Se poi volete addirittura cominciare a collaborare, entrando a far parte del Collettivo Autonomo Onanisti Sabotatori, le porte sono spalancate. Basta rispettare quelle duebarratre regolette che ci siamo dati.

Si ricomincia, insomma. A perdere tempo nel traffico per andare al lavoro. A farsi bagnare dalla pioggia o a sentirla scivolare sui vetri delle nostre auto. Si ricomincia ad inseguire, a correre, a far incastrare impegni e appuntamenti, a fare la spesa e a consumare. Si ricomincia a trottare. E allora quando possiamo dedicare un po' di tempo a noi stessi? Quando siamo fermi. E "Fermo" è il titolo della poesia di Fade, con cui vi salutiamo.

Fermo in auto in tangenziale
con qualche inutile certezza
la pioggia oscura la visuale
battendo forte sulla tristezza
urlo dentro e ci sto male
è Dio che sputa sul parabrezza

The Clock

L'orologio non va a tempo con la strada. Continua a girare monotono. Mai un guizzo, una curiosità da esaudire, un viaggio da immaginare. Mai una canna da fumare. L'orologio non si sballa mai. Quando succede, smette di funzionare. Si rompe. Non serve più a niente. Va buttato.
Le persone sono come orologi. Non per me, forse nemmeno per te, ma per quello che sta in cabina di regia. Quello che lo stralunato Jack Black di School of Rock chiamava "Il Potente". Per il Potente noi siamo orologi. Ingranaggi. Spartiti senza diesis e bemolle. Funzioniamo solo se monotoni. Se facciamo sempre la stessa cosa. Se pensiamo sempre la stessa cosa. Se compriamo, consumiamo e caghiamo sempre la stessa cosa. Appena allentiamo un po' la presa e decidiamo di far durare un minuto più di sessanta secondi, appena alziamo la testa (ehm, le lancette), smettiamo di essere funzionanti. E funzionali. Ci rompiamo. Non serviamo più a niente. Siamo da buttare.

Non so tu, ma io mi sono rotto i coglioni di essere un orologio funzionante. Le lancette sono mie e le gestisco io. Femminismo applicato agli orologi? No, cazzo, molto di più. Libertà? Ma de che. Alcuni pensano che la libertà sia smettere di essere orologi. Vogliono diventare cigni, o vento, o altre cazzate del genere. Gli chiedi Fammi un esempio di libertà!, e quelli ti rispondono Il volo di un'aquila.
Puttanate. La libertà non è un'aquila che vola e va dove cazzo vuole andare. La libertà, l'unica vera libertà possibile, è quella di smettere di funzionare. Continuare ad essere orologi, ma contare i minuti, i secondi, come cazzo ci pare.
La libertà che un essere umano deve conquistare e difendere è quella di decidere che l'istante di un bacio possa durare una vita intera.
E fanculo se al Potente non sta bene.


Jack Writhe


Italiana?

"Bruna sono ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come i padiglioni di Salma.
[...]"
Mio nonno è morto, dio lo benedica. Era un turco figlio di puttana, uno di quelli che ha mollato tutto. Ci sapeva fare, era un genio dei numeri, faceva l'ingegnere quando ancora gli uomini facevano i colonnelli o i contadini, e di macchine non ce ne erano. Lui aveva studiato, vai a sapere come. Era un cazzo di laureato quando la gente ancora moriva di febbre. Insomma, non so come è venuto in Italia e ha rubato il lavoro, una donna - e che donna, mia nonna aveva degli occhi azzurri che sembrava una dea nordica. Li vedi insieme? Che cazzo di coppia, diceva la gente. Un turco con la faccia da turco e una italiana con la faccia da norvegese. Io mio nonno non l'ho conosciuto. È morto come muoiono i cani, senza sapere perché, da solo. Ho visto solo qualche foto ma stai sicuro che ho la stessa faccia. I numeri invece no, non li capisco. Ah non lo sapevi? Non dico mai che mio nonno era turco, chi lo conosce. Non so neanche come si chiamava. Però porto la sua faccia nel mondo. 
"Come sei bella, amica mia, come sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono un gregge di capre,
che scendono dalle pendici del Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte procedono appaiate, e nessuna è senza compagna.
Come un nastro di porpora le tue labbra
[...]" 
Un giorno mia nonna si è svegliata e mio nonno no. Succede. Non le ho mai chiesto se lo amasse, sono una che parla poco. Non mi ha mai parlato di lui anche perché ero troppo piccola e lei già così vecchia, con quegli occhi azzurri che vatteli a pesca. Chi lo sa quelli con gli occhi così chiari dove nascondono i segreti. Non lo so, hai visto che occhi da turca i miei? Sono tutti un segreto, non c'è uno spazio libero per dire la verità. Fammi una domanda, una qualsiasi - dai. Anche mio nonno aveva gli occhi da bugiardo, davvero. Una faccia che non ci avresti scommesso un soldo. E invece, cinque figli. Una moglie con i capelli biondi e la faccia nordica che voleva studiare, sì anche lei era istruita. Non se ne vedevano tanti come loro, a quell'epoca. Che coppia, diceva la gente. Un turco e un'italiana con gli occhi azzurri. Il gene di mio nonno è arrivato fino a me e io l'ho sprecato con un figlio biondo. Che vuoi che ti dica, non ci si può contare sulle mezzosangue. Non siamo fedeli a nessuna bandiera, e a nessuna persona. Diciamo Sì sì, con gli occhi bugiardi. 
"L'odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi.
Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c'è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti
è come il profumo del Libano [...]". 
Che poi in Turchia non ci sono nemmeno mai stata. La gente del paese dove vivevo diceva Come sei esotica. Che capelli esotici, che piedi esotici. Sprichst du deutsch? Ho imparato tante lingue e in nessuna città sono stata a casa, è uno schifo. Sono un cane che si morde la coda all'infinito. Anche mio nonno, dalla Turchia e i piedi stanchi e sporchi, a cercare chissà che. Quando si è fermato è morto. Succede sempre così. Per questo, lasciami girare in cerchio. 
"Tu sei bella, amica mia, come Tirza, leggiadra come Gerusalemme, terribile come schiere a vessilli spiegati. Distogli da me i tuoi occhi: il loro sguardo mi turba. Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d'artista. Il tuo ombelico è una coppa rotonda che non manca mai di vino drogato. Il tuo ventre è un mucchio di grano, circondato da gigli. I tuoi seni come due cerbiatti, gemelli di gazzella. Il tuo collo come una torre d'avorio; il tuo naso come la torre del Libano che fa la guardia verso Damasco. [...]". 
Gli occhi neri sono pericolosi, sembrano qualcosa ma possono essere altro. Tipo me, che sono italiana ma in fondo no. Sono una mezzosangue, bugiarda, è un fatto genetico. Mica altro. Mi piace l'aria umida di New Orleans e i tamales di Tijuana, ho mangiato nei piatti di Tunisi e bevuto l'acqua al cloro di San Francisco ma non sono mai arrivata a casa - è genetico. Mia madre dice così. È colpa di mio nonno, perché era turco. Sai, una di quelle cose che ricadono di padre in figlio per sette generazioni. Mi pare reciti così. Volevo avere gli occhi azzurri, per non aver posto dove nasconderci le cose solo che non sono stata capace.

Chicana