Sì, vabbè, io faccio finta di crederti. Rumino qua e là sforzandomi di immaginare che dietro quel tuo silenzio ci sia un pensiero. O un ricordo. Al massimo un dolore. Ci provo, ti giuro che ti provo. Ti guardo e mi convinco che tu abbia ragione. Che ti comporti così perché sei arrabbiata. Unilateralmente arrabbiata. Suppongo che il veleno con cui mi abbeveri non possa essere figlio del caso. Deve avere un senso. E’ chiaro. Dietro c’è qualcosa. Io ci credo, lo so. Magari non te ne accorgi, ma vedo benissimo che ti stai nascondendo. Ok, non sarò il migliore a capire tutte le situazioni al volo. Non avrò sempre pronte le parole più appropriate. Sbaglio, cazzo se sbaglio! Vorrei dire ogni volta la cosa giusta, ma poi mi ritrovo tra le mani la solita banalità. Tu mi riservi un’occhiataccia di traverso. Deficiente, stai pensando. Lo sento. Sento anche questo. La tua sciabolata mi arriva fin dietro le orecchie. Deglutisco e butto giù. Ci sono abituato oramai. Perché sei tu quella fragile. Quella da difendere. Io sono il forte. Con la pelle d’asino. Con la scorza dura. Non ho bisogno di delicatezze io. Tu magari, non io. A me rimane solo di proteggerti. Anche se non ho capito ancora bene come e da cosa. Però devo farlo perché funziona così, no? Io sono il maschio e tu la femmina. E allora ti salvo. E’ l’equazione della vita. Mi faccio concavo e ti accolgo. Tu ti aggrappi e mi fai male. Io soffro e rimango in silenzio. Tu digrigni i denti e bestemmi. Funziona così, no? E’ sempre stato così. Certo, talvolta arrivo in ritardo sul pezzo. Tu mi entri sulle gambe e mi ammonisci. Io cerco di protestare, ma mi azzittisci. Tu vaneggi e io lecco le mie ferite. Eppure qualcosa vorrei dirtela. Ma non si può. Non scherziamo. Sei angelo, non sei diavolo. Comunque vada, rimane che hai ragione tu. Per forza. A oltranza. Ovvio, io sono insensibile. Stupido. Un cretino. Che ne posso mai sapere? Hai mille volte ragione. Tu, tu e solo tu. Ora non parli. Perché dovresti? Non ho capito prima, perché dovrei capire poi? Non ci arrivo. Tu rimani un alfabeto indecifrabile, una narrazione inarrivabile, una profondità incolmabile. Povero diavolo che sono. Mi annullo per te. E lo chiamo amore. Mi dissolvo per te. Tu sei l’autocelebrazione del niente, io il sacerdote delle mosche. Nel tuo silenzio hai costruito un tempio. Anche oggi mi addormenterò con un gusto amaro in bocca. Mi rigirerò nel letto e farò l’alba. Ripenserò a tutti i vuoti che mi hai donato e a tutte le scatole chiuse che mi hai fatto trovare. Ai sogni che non mi hai fatto sognare e agl’“oggi” che hai preferito trasformare in “domani”. In confidenza, i tuoi silenzi mi snervano un po’. Alla lunga mi ci dovrei pulire i piedi sopra. Dici che non valgo niente e ricambi i miei sorrisi con smorfie di cui ignoro la natura. A ben pensarci, hai anche poco da dire. Perché le parole ti sfuggono, misera, miserissima donna-coriandolo che non sei altro.
Orofino
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