Sioux

Il vostro Paradiso è nei cieli.
Il nostro è sulla Terra.

E' nell'albero che ci regala frutti e ombre. E' nelle praterie dove cacciamo il cinghiale. E' nelle albe che riscaldano le nostre tende. E' nelle montagne abitate dagli spiriti silenziosi, che guardano il tramonto con occhi di sfida, colmi di rispetto.
Il nostro paradiso è nella pelle che dipingiamo e nelle pelli che usiamo per fabbricare vestiti. E' nelle sorgenti d'acqua ghiacciata, nei soffi di neve che spettinano i nostri inverni. E' nei nomi ancestrali dei nostri defunti, nelle pietre rosse del Lungo Canyon. E' negli occhi dei nostri figli che giocano prima di cena.
Il nostro paradiso è nel fuoco che disegna la notte, quando i corpi dormono e gli spiriti osservano le stelle. E'  nei fiumi che graffiano le nostre terre, irrigando ogni cosa di una purezza naturale. E' nell'orizzonte che possiamo contemplare ammirati o scrutare preoccupati, temendo l'arrivo di qualche nemico.
Il nostro paradiso è nel filo d'erba che ci solletica i piedi, nelle distesa a perdita d'occhio e di mente, nell'amore senza soffitti. E' nel respiro della Terra, sempre più affannoso. E' nelle aquile che scendono in picchiata prima di risalire sulle rupi, a dominare la loro libertà da un trono di pietra.

Il vostro Paradiso è nei cieli.
Sulla terra avete lasciato le industrie, le banche, gli oleodotti. E per le vostre industrie, per le vostre banche, per i vostri oleodotti... per i vostri profitti, avete bisogno di altre terre. Sempre più terre. E volete prendere anche la nostra.
Ma se ci togliete la terra, ci private del Paradiso.

Jack Writhe


A’ la guerre comme à la guerre

Chiariamoci: è solo una galleria di maschere. Sono accanto alle giacche, tra i pantaloni stirati e le camicie inamidate. Il mio vanto ad alta intensità emotiva. Una collezione raffinata che ho raccolto in tanti anni. E chissà quante altre ancora ne dovrò trovare. Perché a me piace indossarle. Sentire il vuoto che si crea tra i miei lineamenti e la parete zigrinata della maschera. Ogni mattina apro l’armadio e le osservo. Ne ho per ogni occasione. Certo, qualcuna ancora mi manca. Ma io vado a nastro. Non mi fermo. Esploro, cerco, cado. Riprovo. Tento. Azzardo. Le maschere te le devi meritare, come i galloni in guerra. Ho anche quelle in versione affranta. Perché la rappresentazione del dolore è puro mood e io te lo faccio rimbalzare tra le gengive. Dovunque ci si possa trovare: in strada, tra la polvere, o sopra un divanetto pink che più pink non si può.

Mi piacciono le mie maschere. Le indosso con una certa disinvoltura. All’inizio non era così. Mi stavano un po' strette. Non calzavano proprio a pennello. Talvolta scivolavano sul più bello, rimediando figure di merda a manetta. Ma ora sono diventato bravo. Anzi, bravissimo. Ci metto zero a spalmarmele addosso. Riga a destra o riga a sinistra. Da buono o da cattivo. Da serafico o da polemico. Io ci sono sempre. Con la mia bella faccia di cartone. Magari a te potrà dare un pò fastidio. Potrai schifarmi. Evitarmi. Giudicarmi. Ma non sarò più ipocrita di te. Perché ci vuole dignità per sostenere il peso di una maschera. Ci vuole onestà intellettuale. Ci vuole la schiena dritta e i polsi fermi. Che credi? Che sia facile smontare tutto il giocattolo e ricominciare daccapo? Ci vuole coraggio ad alzarsi tutte le mattine e resistere. Ricacciare ogni lacrima e dipingersi un sorriso. Alzarsi, ma volere in realtà rimanere al tappeto.

Io serro il nodo alla cravatta e affino il mento. Non vorrei farlo, ma così funziona. Oggi questa maschera, domani un altra. Così io non mi spezzo, ma guadagno un centimetro al giorno. Il mio fronte è in costante movimento. Avanza. Piano, ma inesorabile. A fine giornata in qualche modo ci arrivo anche io. Solo allora, nella solitudine del mio privè, mi libero di ogni orpello e pensando al domani grido : à la guerre comme à la guerre.




(Video) Bruciatele con la passione, non con la benzina

Abbiamo sempre detto che Radio Sabotag è una radio da leggere. Ovvero, è una radio da vedere. Radio Sabotag non si ascolta, si sente. E per far sentire meglio le parole con cui sono scritti i nostri post, abbiamo pensato anche alla possibilità di creare dei semplici video in cui il testo sia accompagnato dalla musica consigliata dall'autore.

Speriamo vi piaccia questo esperimento, che qui sotto vi trasmettiamo:


Ovunque, ma qui

Capita a volte di domandare all'Occupante Abusivo dei Cieli perché la vita sia così tosta. Non difficile, non complicata: tosta, con la scorza dura che la rende immangiabile se non la intingi in un boccale di birra o con una piccola pioggia dagli occhi.
La vita è tosta. Come un montante di Tyson, come un assolo blues tentato da chi non ha mai imbracciato una chitarra. Se fosse più morbida, sta cazzo di vita... ah, che comodità! Calzerebbe a pennello, non ci graffierebbe le ginocchia e le guance, non ci arrosserebbe gli occhi. Una bella vita a misura di ognuno, senza eccessivi sbalzi o crolli, un lungo rettilineo da percorrere a non più di 65 miglia orari, ché c'è il controllo elettronico della velocità e le multe non sono mai piacevoli.

No. Non mi avete convinto. Ci ho pensato a lungo, ma non accetto lo scambio. Preferisco le curve ai rettilinei, il sole in faccia che mi fa stringere gli occhi al caldo sole sulla schiena che dipinge confortanti ombre sull'asfalto. Sarò pazzo, o semplicemente immaturo. sarò un coglione, ma voglio sforzare il motore per arrampicarmi sulle montagne e lanciarmi in discesa usando il freno il meno possibile, piuttosto che stare sempre e costantemente sulle vostre fottute 65 miglia orarie. Scelgo di cadere e spezzarmi qualche osso invece di seppellirmi in un tranquillo divano a rate, davanti ad uno schermo piatto full HD e altri controcazzi dimmerda.
Incosciente? Manco per idea! Io non voglio mica fare come quei "ribelli coi soldi" che si vantano di strafregarsene della vita borghese e si atteggiano a Easy Riders de noantri. Io sono fottutamente innamorato di questa vita, dei suoi bivi improvvisi, dei suoi cambi di pendenza, del suo asfalto pieno di rughe.
Io voglio godermela al massimo, sfruttando ogni secondo libero per riempire quella libertà di brividi e sorrisi.
Fanculo i moderati e i maudit da quattro soldi. Datemi un vecchio blues, non mi serve altro. Un vecchio blues e potrò arrivare ovunque.
Ovunque, ma qui. 

Jack Writhe


The Oregonian

"A Portland chiunque vive almeno tre vite, ha almeno tre identità. Uno magari fa il poeta, la drag queen e il commesso di libreria". Attacca così Palahniuk in Portland Souvenir. Perché Portland, direte. Perché ci sono nata, è il luogo dell'anima. La mia, si intende. E proprio a Portland sta sorgendo il sole sul mio settimo trasloco. Credo sia il settimo, così, a naso. Ho perso il conto. È che, ad un certo punto, le città smettono di parlarmi. E me ne vado. Le persone sgranano gli occhi e gli viene un fegato così solo a sentirmi parlare: ma quante vite hai vissuto? Sempre una di troppo, penso. Ma non lo dico. In fondo non sono frasi da dire alle cene. C'è la solita retorica del non sputare nel piatto in cui hai mangiato, e invece io sono un'ingrata. E sono un'ingrata per colpa dell'ego. È tutto lì il nodo: bisogna percepire il mondo davanti ai nostri occhi. Io invece non lo "sento", le cose che per voi sono importanti a me non interessano. Quando parlate, sbadiglio. Quando mi mettete seduta al centro del palcoscenico con le vostre domande da quattro soldi, mi annoio. Di scrivere dediche sui vostri libri non interessa e quando mi stringete la mano per dirmi Che brava, che buon profumo... la prima cosa che penso è se con quella mani vi ci siete masturbati o vi ci siete puliti il culo. Questo penso, se devo essere onesta. So che molti preferirebbero se non lo fossi.

Perciò quando sorge il sole sul mio settimo trasloco, da voi se n'è già andata un'altra giornata. Che sollievo, vi sento dire. Che bello, tra un po' è sabato. Che fate il sabato che non possiate fare anche il martedì? La spesa grossa? Calare? Uscire dall'angosciante cadenza dei tre pasti e smettere di contare le calorie? Non si lavora, risponde il coro unanime. E dopotutto non credo sia un caso che proprio i nazisti dicessero Arbeit macht frei. Ci ho vissuto dove parlano tedesco e vi assicuro che non è una bella frase. Non c'è niente di nobile nel servire un padrone che serve un padrone che serve un consiglio di amministrazione che serve qualche politico che serve un banchiere che diventerà ricco sui vostri anni. La maggior parte della gente a questo punto risponde che bisogna pur mangiare e ogni volta, a questo punto, dentro di me un ideale si suicida.


Dov'è la mia casa?

Dov’è la mia casa? Mi hanno risposto: la casa è il luogo dove sei nato.
Ma il luogo dove sono nato è stato cancellato dalle cartine a colpi di bombe. Il cemento è stato sgretolato, il legno ridotto in schegge, le persone in brandelli di carne. Dove c’era lo stagno delle papere, ora c’è un lago di sangue. Il riflesso del sole annega nel rosso e trema, trema di fronte allo scempio che è costretto ad illuminare.

Dov’è la mia casa? Mi hanno risposto: la casa è il luogo dove passi la maggior parte del tempo.
Ma il luogo dove passo la maggior parte del tempo è questo barcone, spinto dal mare prepotente. Le onde sono come schiaffi di bulli che prendono in ostaggio il più debole. Perché siamo i più deboli, in questa distesa di acqua e nulla. E i nostri polmoni potrebbero riempirsi di salsedine da un momento all’altro.

Dov’è la mia casa? Mi hanno risposto: la casa è il luogo che ti ha accolto.
Ma il luogo che mi ha accolto, ora mi usa come un oggetto. Mi sbatte sul ciglio di una strada a lavare parabrezza, o dietro una bancarella a vendere calzini. Loro avranno gli introiti, io avrò gli avanzi. E li invierò a mia moglie. Sperando che sia ancora viva.

Dov’è la mia casa? Mi hanno risposto: la casa è nella tua mente.
Ma nella mia mente c’è solo neve gelida che copre tutto. Le aquile volano solitarie. L’ostilità e l’indifferenza mi scuotono come un tappeto sporco. Sento il richiamo dei corvi dai piedi neri, mentre le mie parole si perdono nella valle dell’eco. Sono il re della mia prigione. E mentre cerco invano il tocco di qualcuno, stride il gessetto sulla lavagna. Sto disegnando la mia immagine di casa.

Mister F



Libertà al 3%

Per me la libertà non è mai stato un concetto astratto. Altro che cazzi. Io sapevo bene di cosa si trattasse quando sentivo pronunciare quella parola. Mica come quei supereroi dei miei coetanei. Loro fumavano spinelli nei bagni e sognavano un mondo alla rovescia. Ne parlavano indicando i grandi della Storia che avevano combattuto per conquistarla. Scomodavano la filosofia. Inzuppavano gli occhi in testi sacri. Farcivano i diari con le loro ideologie, riempivano i dibattiti di dotte citazioni.

Per me la faccenda era diversa. Della libertà sapevo praticamente tutto. Era un fatto di meccanica. Mica avevo bisogno di immaginarla o teorizzarla. Credeteci o meno, ma io la potevo accarezzare sul serio, picchiettando i polpastrelli sulla sua armatura metallica. Altro che ideale onirico: lei era pura cromatura! Carrozzeria e carburatore. E aveva un nome: Garelli Vip4. Nera luccicante, quasi fosse cosparsa di bizzosa brillantina. Raggi a stella bianchi, immacolati come la pelle di un albino. A vederli girare ti facevano venire voglia di buttartici dentro. Centro gravitazionale della velocità, ombelico del mio piacere rivoluzionario. 

Agli approfondimenti politici preferivo il vento di maggio tra i capelli. Io sbarellavo con il mio motorello irriverente. Quello con su appiccicato l’adesivo di un’oasi nordafricana sul fanale scheggiato. Loro stavano sedute sui gradini della scuola. Carne fresca in quei diciassett’anni, saputelle neanche avessero vissuto cent’anni. Alle spalle manigoldi alti e smilzi che si davano appuntamento davanti alla biblioteca comunale. Non parlavano di discoteche, fighe e motori. Guardavano Santoro in tv, leggevano libri e in classe sapevano sempre quale fosse la musica più giusta da ascoltare.

Io no. Al suono della campanella a me in mano ancheggiava la chiave del paradiso. Roteava tra le mie dita. La libertà era a centotrentadue passi da me. Parcheggiata discreta sotto le finestre dell’aula magna. Lo specchietto crepato mi diceva che ero io il più bello del reame. La manopola in gomma chiedeva di essere masturbata al più presto. 

La libertà andava posseduta, non anelata. Sodomizzata a terra e impugnata per le corna. Lei non era dentro di me, ero io sopra di lei. Le spippettavo un po’ d’aria, perché la cucciola aveva bisogno di rifiatare. Poi scalciavo sulla leva dell’accensione e miss Libertà cominciava a ruggire tamarra. La sua voce era una rosea marmitta Proma, dioscuro a guardia di quattro cavalli imbizzarriti da scagliare in strada.

Scatto in su della marcia, Garelli in assetto di guerra, partenza a razzo davanti al piazzale. La libertà cominciava in quel momento. Cattiva fin dentro le ossa.


Mary aveva un agnellin

Oggi più che mai, avete bisogno di fiabe e filastrocche. Di storie fantastiche, che riescano anche solo per qualche minuto a trascinarvi via dallo squallore che avete creato voi stessi. Avete bisogno di animali parlanti, di essere sovrannaturali, di draghi, di stregoni, di eroi. Soprattutto di eroi. Di terrestri come voi che abbiano il coraggio di fare qualcosa di sconvolgente, come ad esempio fare un passo indietro. Avete bisogno di menti rivoluzionarie, che sappiano pensare al "noi" piuttosto che al "me". Avete bisogno di occhi bionici che riescano a vedere al di là del naso, o addirittura oltre i confini del proprio orticello. C'è bisogno di orecchie supersoniche che riescano ad ascoltare e comprendere ciò che dice l'altro, senza parlargli sopra. Avete bisogno di quei poteri incredibili che una volta avevate tutti. Quando eravate esseri superiori. Quando eravate bambini.
Avete bisogno di fiabe e filastrocche, per addormentarvi senza ricordare ciò che siete diventati. Nella speranza che al risveglio, torniate ad essere quello che eravate. Esseri umani.

"Mary aveva un agnellin, agnellin, agnellin
 Mary aveva un agnellin bianco come la neve..."

Mister F


L'asfalto

L'asfalto. Duro e avvolgente, specie quando ci sbatti sopra. Quando la moto decide di disarcionarti. L'asfalto ti corre incontro, verso la faccia. Ti dona un bacio ricco di segreti e ti fa la barba. E ti chiede cosa hai fatto. Potresti negare ogni tua relazione e ogni giorno sbagliato, sarebbe inutile: l'asfalto sa già tutto. Non lo freghi con una sgasata improvvisa o con una sgommata coreografica. Puoi inchiodare le gomme sull'asfalto, ma non puoi inchiodare l'asfalto. 
L'asfalto concede assoli solo a chi sa accompagnarlo bene. Ti guarda dentro, ti ascolta dentro. L'asfalto ti sente. Cerca il bambino che hai nel profondo del cuore... e gli chiede: "Cosa hai fatto?". Non è una accusa. Non è un interrogatorio. Vuole solo essere certo che tu sappia cosa fai. Che ogni tua azione sia frutto della tua volontà. L'asfalto ci tiene alle persone che non delegano, che non rimandano, che non aspettano le volontà altrui prima di girare la manopola e mettersi in viaggio. L'asfalto vuole, pretende onestà. Scelte giuste o sbagliate, ma scelte. Libere. Volontarie. E poi vada come vada. L'orizzonte è lì e non si muoverà. Ti fanno credere che quell'orizzonte sia per tutti. Non è vero. L'asfalto lo sa bene: ognuno ha infiniti orizzonti da raggiungere. Alcuni sono dritti di fronte a noi, altri esattamente dietro. Per alcuni dovremmo girare a destra, per altri dovremmo svoltare a sinistra, al prossimo incrocio. L'orizzonte che vedi, lo vedi solo tu. E' solo tuo. E' lì per te, ti aspetta. Vattelo a prendere, cazzo.
Siamo noi che decidiamo dove andare, quando svoltare e quando frenare. Dobbiamo deciderlo noi. Se qualcuno ce lo impedisce e vuole deciderlo al posto nostro, l'asfalto ci dice sempre la stessa cosa: "Mettilo sotto, fagli assaggiare il copertone". A chi tocca, allora?

L'asfalto non è il tipo che chiede scusa. Ha una sua mente, una sua filosofia di vita. Non la impone a nessuno. Sei libero di cambiare strada quando vuoi. Buttarti su uno sterrato di campagna, ad esempio. Oppure saltellare sopra i sampietrini di un borgo antico. Fai tu. L'asfalto non ti obbliga, non ti comanda. Ti ricorda solo che se vuoi viaggiare sopra di lui, devi viaggiare anche con lui. Non si è mai soli, sopra l'asfalto. Anche quando si attraversa la Death Valley. Anche quando hai il deserto del Nevada intorno e ancora non si vede Las Vegas. Non sei mai solo. C'è sempre l'asfalto con te. Pronto a darti un bacio alla prima distrazione. E pronto sempre a chiederti, come un mantra rompicoglioni: "Che cosa hai fatto?".


Jack Writhe


Irriducibile

Sono irriducibile allo stato di cose presente. Confesso il mio delitto, terrestri. Il corno della battaglia suona in lontananza. Appartengo ad una stirpe Unica. Neghiamo a questo mondo la possibilità di essere giusto e sicuro senza libertà. Neghiamo il consenso a cedere un alito di libertà in cambio di venti giusti e sicuri. 
Quanti inganni nei venti, quante menzogne! Io lo so, l'ho sperimentato sulla mia pelle. Sul campo di battaglia, di fronte ai Sassoni della cristianità e del liberalismo sfrenato. Sui mari ancestrali, a bordo di barche costruite da robot che hanno tolto lavoro agli uomini, senza togliergli la schiavitù. Non mi fido dei venti che soffiano negli ultimi secoli. Non mi fido di come si insinuano nei miei capelli, sotto il passamontagna. Non mi piace l'odore acre dei lacrimogeni che portano in giro, come ad ammonire le altre anime: "Statevi a casa e obbedite, se scendete in piazza e protestate ecco cosa vi aspetta".
Non mi fido delle petizioni, degli accordi senza stretta di mano siglati su fogli di carta non riciclata. Non mi fido degli scioperi della fame o di quelli che durano quattro ore, il venerdì. Non mi fido delle vostre associazioni a scopo benefico, delle vostre cene sociali, degli sms da due euro mandati per i terremotati e gli alluvionati. Non mi fido degli aiuti umanitari e dei contingenti di pace, degli appelli alla castità di una Chiesa piena di pedofili e zoccole. Non mi fido dei caschi blu e dei caschi integrali, quelli che tanto piacciono ai professionisti dell'anticamorra. Non mi fido delle vostre cause e delle spade con cui volete imporle... o, come dite voi, difenderle.
Io non mi fido di voi, terrestri! Non mi fido della vostra Umanità!
Credo solo nell'Uomo. Credo alle sue debolezze sincere. Alle catene che ama spezzare. Alle lacrime che versa, nascosto dal tramonto. Credo al suo ateismo monoteistico, naturale ed innato. Credo ai suoi occhi quando vince il mare e arriva a toccare terra, profugo indesiderato eppure vivo. Dannatamente, orgogliosamente vivo! Attaccato a questa puttana sempre troppo vergine che chiamiamo Vita!

Sono irriducibile, e non me ne vanto. Un vero uomo dovrebbe sempre essere capace di adattarsi alla contingenza. Io non voglio farlo. La vostra contingenza mi fa talmente schifo che preferisco starmene dritto, in balia dei vostri venti moderni. 
Mi spezzeranno, forse. Ma non mi piegheranno. Mai.


Jack Writhe


Un solo, fottutissimo, irripetibile giorno

La vita è un giorno.
Ti svegli a fatica, perché il sonno non vuole cedere il passo. Non vuole abdicare, quello stronzo. Aneli le coperte...eppure devi andare. Non sai nemmeno perché, forse, ma devi andare. A scuola o al lavoro, avrai sempre un luogo dove andare ogni mattina.

La vita è un giorno.
Una alternanza tra pranzi frugali e cene corpose. A meno che tu non stia a dieta, e allora devi mantenerti leggero anche a cena. A dieta, perché le analisi non sono uscite tanto buone, oppure perché devi entrare in quel maledettissimo jeans "Cavalli" che ti è costato tanti soldi. Tante ore di sfruttamento. Tante teste abbassate. Tanti sguardi rivolti altrove.
C'era un altro jeans, identico al tuo Cavalli. Costava un decimo dei tuoi soldi e un centesimo dei tuoi sacrifici. Tu, però, non volevi un jeans. Volevi un Cavalli...

La vita è un giorno.
Tantissimo tempo passato dietro ad una scrivania o in auto nel traffico. C'è sempre traffico, ogni giorno. Nella vita c'è sempre traffico. Eppure ci sentiamo sempre dannatamente soli.
Pochissimo tempo da dedicare a giocare coi tuoi figli, a far l'amore con tua moglie, a bere birra con un amico, a suonare un lento blues di tante strade fa. Le gioie del giorno sono poche e brevi. Per questo andrebbero respirate come il più delizioso dei profumi. Assaporate come il più succulento tra i piatti. Tracannate come la birra ghiacciata che scivola dalle pendici della tua gola fino alla foce del tuo stomaco.

La vita è un giorno.
Un solo, fottutissimo, irripetibile giorno.
Va onorato, non solo vissuto.
Prima che sia andato via.


Jack Writhe


Giovane cuore ardito

Se questo Mondo avesse un futuro, lo avrebbe già trovato. Questo mondo - sappiatelo - non ha futuro! Ed ha già creato i propri superbi distruggitori: i Giovani!
Quali giovani, però? La maggioranza di loro calpesta l'acceleratore della Rovina senza nemmeno accorgersene. Essi si beano dell'Esistente senza comprendere che a breve sarà Inesistente. E sarà colpa loro! Che gusto c'è, però a distruggere senza voler distruggere? Che sfizio c'è nell'essere colpevolizzati, senza vantarsi di tale colpa?
Mi rivolgo pertanto alle estreme minoranze della gioventù. Mi rivolgo forse all'Unico, al o alla giovane mentre che sta leggendo queste righe rarefatte. Sollevati! Diventa un sole: sorgi! 
Non consentire a nulla di dominarti. Non consentire a un Rolex di ammanettarti un polso. Ti basta un orologio qualunque, con le lancette funzionanti. A te non serve un Rolex, serve il Tempo.
Non permettere alla droga, a qualsiasi droga, di renderti dipendente da lei. Sii sempre indipendente, anche dalle cose che ti danno euforia o ti fanno assaporare un briciolo di pace. Sperimenta l'euforia lucida, la splendente follia! Mastica la pace della Natura, sregola lentamente i tuoi sensi davanti a tramonti indicibili, sotto piogge poetiche!
Rifiuta le categorie e le etichette. Sii tu una categoria, vesti tu la tua etichetta! E lascia i tuoi occhi liberi di veder ogni persona come una categoria unica, pari ad ogni altra eppur diversa da tutti. Non siano i vestiti o i tagli di capelli a farti scegliere i compagni di viaggio. Siano i versi che scrivono! Gli accordi che suonano! Le pennellate con cui infuriano sulla tela!
E soprattutto, giovane cuore ardito, allontana da te il piattume della normalità, l'omologazione. Oscilla sempre tra i silenzi assoluti e i rumori dispari! Cammina obliquo con fierezza. Concediti il dubbio che sia il Mondo, e non tu, a camminare storto.


Jack Writhe