Per me la libertà non è mai stato un concetto astratto. Altro che cazzi. Io sapevo bene di cosa si trattasse quando sentivo pronunciare quella parola. Mica come quei supereroi dei miei coetanei. Loro fumavano spinelli nei bagni e sognavano un mondo alla rovescia. Ne parlavano indicando i grandi della Storia che avevano combattuto per conquistarla. Scomodavano la filosofia. Inzuppavano gli occhi in testi sacri. Farcivano i diari con le loro ideologie, riempivano i dibattiti di dotte citazioni.
Per me la faccenda era diversa. Della libertà sapevo praticamente tutto. Era un fatto di meccanica. Mica avevo bisogno di immaginarla o teorizzarla. Credeteci o meno, ma io la potevo accarezzare sul serio, picchiettando i polpastrelli sulla sua armatura metallica. Altro che ideale onirico: lei era pura cromatura! Carrozzeria e carburatore. E aveva un nome: Garelli Vip4. Nera luccicante, quasi fosse cosparsa di bizzosa brillantina. Raggi a stella bianchi, immacolati come la pelle di un albino. A vederli girare ti facevano venire voglia di buttartici dentro. Centro gravitazionale della velocità, ombelico del mio piacere rivoluzionario.
Agli approfondimenti politici preferivo il vento di maggio tra i capelli. Io sbarellavo con il mio motorello irriverente. Quello con su appiccicato l’adesivo di un’oasi nordafricana sul fanale scheggiato. Loro stavano sedute sui gradini della scuola. Carne fresca in quei diciassett’anni, saputelle neanche avessero vissuto cent’anni. Alle spalle manigoldi alti e smilzi che si davano appuntamento davanti alla biblioteca comunale. Non parlavano di discoteche, fighe e motori. Guardavano Santoro in tv, leggevano libri e in classe sapevano sempre quale fosse la musica più giusta da ascoltare.
Io no. Al suono della campanella a me in mano ancheggiava la chiave del paradiso. Roteava tra le mie dita. La libertà era a centotrentadue passi da me. Parcheggiata discreta sotto le finestre dell’aula magna. Lo specchietto crepato mi diceva che ero io il più bello del reame. La manopola in gomma chiedeva di essere masturbata al più presto.
La libertà andava posseduta, non anelata. Sodomizzata a terra e impugnata per le corna. Lei non era dentro di me, ero io sopra di lei. Le spippettavo un po’ d’aria, perché la cucciola aveva bisogno di rifiatare. Poi scalciavo sulla leva dell’accensione e miss Libertà cominciava a ruggire tamarra. La sua voce era una rosea marmitta Proma, dioscuro a guardia di quattro cavalli imbizzarriti da scagliare in strada.
Scatto in su della marcia, Garelli in assetto di guerra, partenza a razzo davanti al piazzale. La libertà cominciava in quel momento. Cattiva fin dentro le ossa.
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