“Anche nell’oscurità ti seguirò” gli disse, nascondendo il volto sulla parete scrostata.
“Non c’è bisogno” le rispose lui, accendendo il lume e infiammando la stanza. Erano solo due giovani che volevano prendersi per mano, non cercavano altro. Erano due simmetrie perfette, due algebriche equazioni di amore.
Spostò la seggiola spingendola verso il tavolo. Poi le cinse la vita e le sollevò le vestì.
In quell’angolo di suburra, Lentulo fu tutto per lei: orizzonte, mare, spiga di grano e macina.
Dalle sue cosce un rivolo di sangue le raggiunse la caviglia. Il pavimento ebbe un sussulto e divenne porpora. Lei si morse un labbro e immaginò di essere nell’Ade. Si rivide libera e leggiadra come una dea, irragiungibile, inespugnabile.
“Moriamo insieme” gli sussurrò, mentre i suoi sedici anni si raddoppiavano e i capelli color mogano ingrigivano nella notte levantina.
“Muoio solo io” le rispose Lentulo. Poi afferrò il suo pugio e si trafisse il petto. Ne uscì una farfalla, quindi un zampillo di acqua: solo allora capì di poterla lasciare.
Seguì una lacrima, il silenzio e infine il vento che fece sbattere la porta. Poi più nulla.
Orofino
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