Sono inquieto
in questo giorno, intravedo
giardini per i morti
e tutti gli altri distratti
salutare le loro sorti
Sono turbato
In questo viaggio, squadrato
menzogne per gli stolti
urlando i loro torti
ai miei coglioni rotti
Sono un illuso
in questo posto corroso
di questo corso fumoso
per questo sogno maestoso.
Fade
Utopia - Il giorno in cui vietarono i divieti
I camioncini sgattaiolarono veloci, tra gli occhi incuriositi dei passanti. I cartelli erano tutti in piedi e appiccicati tra loro, come pendolari nel vagone della metro alle sei del pomeriggio. Le facce di metallo ballavano e si scontravano, ogni volta che il camioncino prendeva una buca. Qualche curioso li seguiva con la macchina, per capire dove diavolo stessero portando tutti quei divieti.
Cominciarono con i divieti. Li portarono via tutti. Li sradicarono dall'asfalto, li sganciarono dai semafori. Li cancellarono dall'asfalto foracchiato. In poche ore, la città era senza divieti. Poi proseguirono con gli obblighi e i sensi unici. Sequestrarono anche i segnali di pericolo. Dulcis in fundo, spensero i semafori. Nel giro di qualche giorno, la città si ritrovò senza restrizioni. Che tu avessi una macchina, un motorino o qualsiasi altra diavoleria con un motore sotto il culo, potevi andare dove ti pareva. Potevi imboccare strade contromano. Potevi andare a destra, a sinistra, dritto. Ovunque. Non c’erano più percorsi obbligati, o corsie preferenziali, o velocità da rispettare. Ognuno poteva fare il cazzo che voleva.
I primi giorni, la città fu pregna di euforia. Il peggio di noi era a pedale libero. Nessun confine, nessun limite. Il sogno di ogni frustrato. Il traffico era magicamente sparito. Se c’era un ostacolo o una macchina ferma, avevi molte più alternative. Più vie di fuga. E tutti aggiravano e fuggivano, arrivando a destinazione con largo anticipo. La terza notte dopo il Grande Ritiro, i writer fecero visita alla grande facciata del Comune. Il giorno dopo, passando davanti al Municipio, potevi leggere a caratteri cubitali: Benvenuti ad Utopia, la città dei sogni.
Poi cominciarono a contare i morti. I piccoli incidenti erano spariti. In compenso, le tragedie erano all'ordine del giorno. Non trovavi più le classiche due macchine scheggiate con le quattro frecce e gente in salute che urlava, sbracciava e si faceva salire la bile. Trovavi solo cumuli di rottami pieni di carne e imbrattati di sangue. Come se non bastasse, molti avevano confuso l’assenza di divieti stradali con la scomparsa di tutte le leggi. Ma non era così. L’omicidio era ancora illegale. E se montavi sul marciapiede con il BMW e ficcavi sotto una vecchia, quello era omicidio. Volontario e premeditato. Perché ogni volta che quella vecchia attraversava la strada, trascinandosi sulle strisce con la flemma di una tartaruga, tu smaniavi su quell'acceleratore e ti giuravi che prima o poi l’avresti uccisa.
Ben presto, tutti si accorsero di una cosa: non eravamo capaci di gestire la nostra libertà. A cosa serve essere liberi, se non capisci che anche la libertà è di tutti? E che quando arriva inevitabile il momento in cui le tue acque, espandendosi, toccano quelle di un altro, c’è bisogno di quel minimo di umanità per far sì che nessuno anneghi? Perché se pensi solamente alla tua, di libertà, arriva il giorno in cui farai male al tuo vicino. E quando il male tocca uno, tocca tutti. E’ così che funziona.
Non passò molto tempo prima che i comitati di quartiere si presentarono davanti al Comune, per chiedere a gran voce il ritorno dei cartelli. Dopo qualche giorno di protesta i divieti, gli obblighi e le restrizioni tornarono al loro posto. E quasi tutti furono contenti di vedere quei segnali. Perché finalmente era tornato qualcun’altro a dirgli cosa potevano e non potevano fare. Questa cosa li sollevava dal peso della responsabilità che li opprimeva, quando erano chiamati a riflettere con la loro testa.
La vita oggi è una scelta tra libertà e sicurezza.
Avere entrambe è pura Utopia.
Mister F
Fetore
Lunedì, signori.
Jack Writhe
Oggi, anche oggi, è lunedì.
Quando ero uno studente, jeans scambiati con la candeggina, camicia di flanella e capelli improbabili, il lunedì era il giorno più brutto della settimana. Si tornava a scuola, si vedevano di nuovo i compagni e i professori, ed io - asociale da competizione quale ero - avrei pagato di tasca mia per svegliarmi più tardi, starmene a letto, poi magari uscire a fare due passi. Andare al porto, tra le bestemmie e i commenti calcistici degli ormeggiatori. O magari sul treno, destinazione capolinea, a guardare i pendolari e i profili austeri di una città moderna suo malgrado, una città che sotto le costruzione contemporanee conserva un cuore antico, ancora pulsante anche se con qualche battito a vuoto.
Anche le città hanno il soffio al cuore.
Non so cosa avete fatto nel week end. In fondo, manco me ne frega più di tanto. Siete andati in giro coi vostri cari? Buon per voi. Spero solo che non siate usciti di casa per sotterrarvi in quelle casse da morto collettive dei centri commerciali. Spero che siate andati a pranzo fuori, magari in un bel agriturismo di campagna, fuori città.
Vi immagino così: un Supersantos preso dal portabagagli dell'auto, un lancio di esterno collo decisamente fuori misura, una corsa goffa e affaticata insieme ai vostri bimbi per agguantare il pallone prima che precipiti da una scarpata o si conficchi in una pozzanghera fangosa. Infine, il candido vociare di vostra moglie che vi guarda da lontano come il più coglione del creato e vi avvisa che il tavolo è pronto e potete andare a sedervi. A ordinare. A mangiare. A bere. A far finta di interessarvi delle chiacchiere dei commensali. A dire la vostra opinione su cose di cui non avete un'opinione. A chiedere il conto. A pagarlo. A salutare gli amici, se ci sono. A promettervi di rifarla un'altra volta, una bella scampagnata così. A entrare in auto. A mettere in moto e a tornare a casa.
Ecco. Messa così, sembra davvero un'esperienza poco invitante. Anzi, decisamente una giornata da non vivere.
Eppure.
Incredibile a dirsi, c'è molta più vita in una giornata del cazzo come quella che in tutte le stramaledettissime giornate che butterete nelle fosse comuni degli shopping center e degli outlet.
In quell'esterno collo sbagliato, in quella corsa goffa, nello sguardo rassegnato della vostra compagna c'è l'Umanità, con tutte le sue schifezze, le sue bassezze, le sue noie e le sue routine. Ma c'è, cazzo.
Io ne sento il fetore.
Nei centri commerciali, invece, io non sento niente.
Nemmeno il fetore.
Jack Writhe
Wilma
In questi giorni, e in queste ore, si è fatto un gran parlare dell congresso mondiale delle famiglie, che si svolgerà a Verona fino a domenica. A leggere e a sentire cosa pensano i partecipanti a questo congresso dei gay, dell'interruzione di maternità, delle famiglie "arcobaleno", del fine vita, in molti hanno avuto l'impressione che a parlare fossero uomini del medioevo catapultati nel Duemila. Di più, uomini di Neanderthal che hanno fatto un enorme balzo interdimensionale: dall'età della pietra all'età della merda.
No.
Non si tratta di un insieme di Fred Flintstone che urlano "Wilmaaaa!" alle loro compagne. Non credo che siano tutti così. Anzi, sono convinto che molti di loro non siano affatto così. Ma peggio. Spaventosamente peggio.
Almeno Fred viveva nel Neolitico, metteva in marcia la sua auto muovendo i piedi e si vestiva con le pelli rabberciate di qualche bestia preistorica. Questi invece vivono oggi, guidano auto con tutti i comfort e in genere vestono abiti costosi. Eleganti no, perché l'eleganza è un'altra cosa e quasi mai è direttamente proporzionale alle cifre sul cartellino del negozio.
Almeno Fred era un operaio che si spaccava la schiena nella cava e si concedeva solo lo svago di una partita di bowling, di tanto in tanto. Questi invece sono spesso colletti bianchi e sepolcri imbiancati, talvolta stanno comodamente seduti dietro scrivanie in caldi uffici dell'industrioso Occidente e si concedono svaghi d'ogni tipo: da quelli più istituzionali, come le messe vespertine o domenicali, a quelli per loro più inconfessabili e peccaminosi, come le droghe, il gioco, le amanti.
E soprattutto, Fred non rompeva i coglioni a nessuno. Non voleva imporre la sua visione del mondo a Bernie o ad altri. Si faceva i cazzi suoi e se ne stava con le sue debolezze a vedere la tv o a giocare coi dinosauri.
Mica come questi cagacazzi qua.
Jack Writhe
Again
Ciao, terrestri.
E' un bel po' che non ci sentiamo. E' passato poco più di un anno dall'ultima volta. Vi sono mancato? Manco per il cazzo, lo so. Vi capisco. Non ci rimango male, tranquilli. Manco io sentirei la mia mancanza.
Mi sono preso una specie di anno sabbatico. Me ne sono stato sul mio camion, in giro per i cazzi miei. Ho ascoltato Radio Sabotag, ho letto i suoi post, e ho visto questa cloaca di mondo tentare in ogni modo di andare a puttane.
Pensavo di non tornare più, sapete? Alla fin fine - mi dicevo - il mondo è diventato uno schifo di posto, pieno di gente incazzata e invidiosa, pronta a dare addosso a chiunque anche per i motivi più futili. Mese dopo mese, vi vedevo festeggiare perché i disperati venivano lasciati a bordo di navi nel Mediterraneo o perché i bambini messicani venivano separati dai loro genitori. Vi ho visto votare Salvini, Orban, perfino quella latrina fascista di Bolsonaro. Vi ho visto augurare la morte ai gay, legittimare femminicidi e violenze d'ogni genere. Vi ho visto tifare per Israele che bombardava i palestinesi. Vi ho visto diventare esperti immunologi, terrapiattisti, difensori della famiglia tradizionale.
In poche parole, vi ho visto fare pena. Voglio essere sincero: se avessi beccato sulla mia strada uno di voi e avessi avuto la certezza di non essere visto da qualche testimone oculare, lo avrei buttato sotto col mio camion. Fanculo.
In poche parole, vi ho visto fare pena. Voglio essere sincero: se avessi beccato sulla mia strada uno di voi e avessi avuto la certezza di non essere visto da qualche testimone oculare, lo avrei buttato sotto col mio camion. Fanculo.
Poi però mi avete sorpreso. Alcuni di voi - prima pochi, poi sempre di più - hanno cominciato a reagire. Piccole reazioni, minuscole indignazioni, insignificanti incazzature. Eppure ho visto una inversione di tendenza. Adesso c'è qualcuno di voi che manifesta una flebile volontà di tirarsi fuori dalla merda razzista, sessista, omofoba e violenta che pare essere maggioranza. Alla fine, forse, non sono maggioranza, ma soltanto più rumorosi. C'è da capirli: sono dei repressi di merda, ridotti da decenni a stare nelle fogne senza possibilità di poter scorreggiare i loro pensieri. Ora ci sono i social e c'è l'impunità della rete, quindi possono aprire tutti gli account farlocchi che vogliono e vomitare il loro odio senza rischiare (quasi) nulla.
Se però capita di trovarseli davanti, in merda e ossa, uno contro uno, tornano ad abbassare lo sguardo. Perché quando non hanno il numero dalla loro parte, quando non hanno il branco che li spalleggia, tornano pecore. Anzi, merde di pecore. Li vedi con i loro tombini sulle spalle, pronti a tornare nelle fogne. E ti fanno quasi pena.
Ma chi guida lo sa: i tombini scoperchiati sono pericolosi. Se ci vai con le ruote dentro, spacchi tutto.
Allora ho deciso di tornare. Di darvi una mano a richiudere i tombini. Lo faccio per me, per voi, e per il mio tir.
On the road again.
Jack Writhe
L'orso e la vespa
Jack Writhe, pantaloncini rossi, una tonnellata di carne, ossa e grinta (nel suo paese di
origine, dove il vulcano sbuffa e tiene alla larga i pupazzi del Regime, la chiamano
“Cazzimma”). Mister F, sessanta chili di scarsi appesi a quattro ossa. Però dalla sua
ha un veleno nel sangue che rende i suoi pugni punture implacabili di vespa.
Costretto da un ricatto morale chiamato amicizia, Fade fa da arbitro.
Mister F gira intorno con un ritmo spezzanervi, Jack attende il momento giusto.
Perché la vita è così, cerca di sfiancarti. Ti gira in tondo chiacchierando, tanto rumore
nelle orecchie, un mare di nulla.
<< Sei pronto ad andare giù, Big Jack? Più grosso sei, più rumore fai quando cadi. >>
<< Perché non provi a tirare qualcosa, invece di sprecare il fiato? >>
Neanche il tempo di finire la frase e Mister F si fa sotto. Le mani sono aghi che si
infilano ovunque, veloci e precisi. Jack non riesce a chiudere i buchi nella guardia ma
incassa alla grande, non da’ segni di cedimento. Mister F continua a girare con un
ghigno da maniaco stampato sul volto. Jack è impassibile.
<< Ti muovi troppo, piccoletto. La vita ormai è un Teatro con un palco troppo grande,
se giri troppo poi ti perdi e diventi anonimo. Come gli altri. >>
<< Eccolo, l’uomo di mondo! Allora è meglio attendere fermi? La vita corre, Jack.
Non hai tempo da perdere. >>
Jack ci prova, tre colpi pesanti. Mister F schiva i diretti e riesce a coprire bene il
montante. Il colpo però è una sassata e se lo sente vibrare dal braccio alle costole,
fino al collo. Il sorriso si piega un attimo, poi torna più sadico di prima.
<< Bravo Big Jack, così mi piaci! Non permettere agli altri di dettare i tempi! >>
<>
<< E gli unici a divertirsi sarebbero i papponi seduti nelle sedie VIP. Quelli che le
mani non se le sporcano mai. >>
Due sguardi complici e via con la scazzottata. Mister F punge rapido e sfianca Jack
sui fianchi tondi. Writhe tira un paio di cannonate per tenerlo a bada e nel frattempo
cerca la testa. Basta un colpo fatto bene e buonanotte Mister F.
<< Sei una roccia, Big Jack! Quanto mi diverto con te! Sei il boss finale del mio
videogioco! >>
<< Mi piace rincorrerti Mister F. Mi aiuti a focalizzare. In questa vita fatta di cose e
persone inutili, bisogna mettere a fuoco quel poco che conta. E prenderselo. >>
Mister F ne piazza altri cinque o sei. Jack barcolla ma lo sguardo non cambia. Fade
nel frattempo si scaccola.
<< Arriva la Vespa, Big Jack! Arriva il quotidiano che ti sfianca e ti logora! Arriva il
dolore della mediocrità! Arrivo, CAPO! >>
Una scarica da mal di testa, Jack sembra crollare. Ma l’hanno chiamato CAPO. E a
lui non piace essere chiamato CAPO. Non gli piace proprio per nulla . Concentra la
forza, la fatica, l’amore e la rabbia di una vita passata a combattere e tira il gancio
destro nel momento giusto. L’impatto è tremendo, Fade si toglie le dita dal naso e
alza la testa di scatto. Mister F vola come una palla da tennis e si schianta sui bidoni
di metallo.
Fade tira un sospiro di sollievo e alza il braccio: << Vince Jack. >>
Jack recupera il fiato. Rantola come un cane randagio dopo una corsa di trenta isolati.
Poi le risate si fanno fragorose.
Bell’incontro.
Arriva Chicana. Si guarda intorno. A sinistra, Jack Writhe ricoperto di sudore e lividi,
la faccia gonfia e il respiro di un orso. A destra, il braccio di Mister F fa capolino tra i
bidoni rovesciati e saluta. Davanti a lei, Fade sdraiato su una brandina che si gratta in
mezzo alle gambe.
<< Barbari. >>
E se ne va.
Mister F
Dodici Corde
Bisogna vivere la vita a dodici corde.
Sì, sei corde ti danno quella bella sensazione sui polpastrelli. All’inizio te li ritrovi
neri e sanno di metallo, poi ti abitui e cominci a prenderci gusto. Puoi metterci gli
accordi o correre per le scale. Puoi scegliere il virtuosismo o battere i palmi sulla
cassa armonica e far battere le mani a chi ti è accanto.
Insomma, tutto molto bello.
Ma arriva il momento in cui devi fare il passo in più.
Le dodici corde ti sfidano. Ridono, disposte a coppie, si parlano all’orecchio e ti
guardano di traverso.
Secondo me non ce la fa.
Sulle dodici corde devi spingere di più. Devi essere convinto. Devi avere la potenza e
il controllo, devi digrignare i denti e tendere i muscoli se vuoi far parlare dodici
corde.
Ognuno di noi ha le sue dodici corde da trovare. Cercatele e una volta che le avete tra
le mani, dateci sotto. Non vi accontentate.
Qualsiasi strada abbiate scelto nella vita, avrete la possibilità di percorrerla a sei o a
dodici corde.
La sei corde è una ragazza. E’ giovane, spigliata, romantica e conosce qualche
trucchetto per farti venire forte. Ma la dodici corde è possente. E’ formosa, ha le
spalle larghe. E vuole di più. Ti vuole fino all’alba.
La sei corde è qualche cicchetto di troppo. Due risate, forse un pianto. Poi tiri giù
mezzo litro d’acqua e sei di nuovo lucido. La dodici corde ti stende. E’ una botta di
assenzio che ti brucia tutto, ti fa un nodo al duodeno e il giorno dopo ricordi tutto, ma
sembrano i ricordi di un’altra persona.
Vivere a sei corde lo sanno fare tutti. Non ci vuole molto. Certo, c’è chi addirittura
rimane muto e muore in silenzio, senza lasciare tracce. Ma questo non deve
giustificarci. Non può essere il pretesto per fermarsi a metà strada. Andate fino in
fondo. E arrivati in fondo, scavate. Andate a vedere cosa c’è dall’altra parte.
Non copiate il solito riff, non suonate con la moneta da un penny perché lo fa quello
famoso. Non fatevi crescere i capelli per coprire il viso durante gli assoli.
Piuttosto fatevi aprire la carne dei polpastrelli. Ascoltate il suono doppio che vi passa
tra le mani. Mordete quel legno, fatevi graffiare dalle corde, sanguinateci su quella
tastiera.
Vivete.
Andate oltre.
Fatevi sconvolgere.
Trovate le vostre dodici corde.
Mister F
Mister F
Ben visti dal malocchio
Io e te non ci vedremo mai più.
Il fato mi ha concesso una sola opportunità ma l’alcol ha reso tutto più
veloce. Mi sei scivolata tra le dita e ora il tuo volto è già un’ombra.
L’occasione mi mostra da lontano il dito medio e la seconda chance non è
pervenuta. Le stelle sono disallineate, si odiano tra loro. Nato sotto il
segno del vuoto, sono destinato a sprecare ogni tiro dal dischetto. Ci provo
a forzare gli eventi, a cercare le possibilità. Ma ci sono forze più grandi di
te e di me. Gli spiriti possono deformare i cammini. I nostri sono paralleli,
non ci sarà nessun incrocio.
Ma smettila. Non dipende da te. Dipende da me.
Credi basti la tua volontà a riportarci faccia a faccia? No, fanciulla.
L’universo si sfrega le mani e combina le molecole per far sì che i desideri
vengano soppressi dalle circostanze sfortunate. Sì, ho detto Sfortuna. La
sorella nera della dea bendata, con occhi di lince e la lingua biforcuta.
Non dovresti scherzare su queste cose. Un po’ perché non ci credo, un po’
perché ci credo.
Brava donna, credici! Prega insieme a me gli dei pagani, danzando intorno
ai loro feticci. Passiamo insieme sotto le scale calpestando mattonelle
rotte. Lanciamo specchi contro i gatti neri e rovesciamo il sale a tavola,
sperando che nella loro ira essi decidano di rompere le regole che loro
stessi hanno creato. Lasciamo che la superstizione superi il desiderio.
Offriamoci come bambole voodoo e lanciamo anatemi contro le
costellazioni dei nostri segni zodiacali.
Facendo così, forse il corso degli eventi verrà riscritto e finalmente potrò
stritolarti in un nuovo abbraccio. Io, povero mentecatto che rimane lucido
solo nei momenti più inutili.
Mister F
Mister F
Iscriviti a:
Post (Atom)