Sorsi

Non attese nemmeno che la testina si poggiasse sul vinile dei King Weed. Iniziò a muovere il culo prima che la musica cominciasse a spiaccicarsi sulle pareti della stanza e dei nostri timpani. Senza togliere gli occhi dai suoi fianchi, cominciai a cercare la birra che avevo poggiato un istante prima sul tavolino alla mia destra. La trovai. Avvicinai la lattina alle mie labbra secche e tracannai un lungo sorso. La birra era ancora fredda, nonostante la temperatura nella stanza stesse salendo vertiginosamente. 
Lei ballava. Ballava come una pellerossa davanti al falò. Come una sciamana strafatta di peyote. Era a piedi nudi e le frange del jeans sdrucito le si infilavano sotto il tallone. Con la mano sinistra cercai il pacchetto di sigarette. Non ricordavo nemmeno di aver smesso di fumare da mesi, ormai. Ero troppo preso dai suoi fianchi. Deliziosi. Sinuosi. Se avessi avuto una tavola, li avrei surfati. Birra.

Le spalle. Mi diede le spalle. Che spettacolo. Mi diede le spalle e cominciò a togliersi la maglietta da hippy del nuovo millennio che indossava. Si muoveva come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Fino a quel momento. Fino a quel tardo pomeriggio di una domenica di riposo. Liberò la schiena dalla prigionia della t-shirt. Rimase solo il reggiseno a segnarle la pelle. A scolpire un solco, un binario delizioso, una lunga lingua di carne su cui passare giorni a fare l'autostop.
Si voltò verso di me, ma non mi vide. Non poteva vedermi.Aveva gli occhi chiusi e la testa rivolta all'indietro. Un sorriso drogato le dipingeva il volto. I capelli cedevano alla gravità scoprendole i lobi delle orecchie. Lobi da succhiare. Un altro sorso di birra.

Aprì gli occhi e si avvicinò a me. Aveva uno sguardo assassino. Arrapante. Occhi che scavavano in profondità alla ricerca dell'oro nero. Occhi trivellatori, dipinti ad olio col mascara. Il sorriso drogato era scomparso. Le labbra schiuse. La punta appena visibile della lingua che sfiorava i denti.
Poi si voltò. Di scatto. Ridestandomi dal delizioso torpore in cui ero piombato. Mi diede di nuovo le spalle. Il suo culo danzava a pochi centimetri dal mio naso. Cominciò a sbottonarsi il jeans. Avrei voluto darle una mano, ma ero paralizzato. Incantato. Estasiato. Lei lasciò cadere il jeans fino alle caviglie e se ne liberò con un doppio passo alla Ronaldo. Indossava un imprudente tanga granata di pizzo. Si piegò in avanti, lasciandomi intravedere le porte del più carnale dei paradisi. Due riccioli di peli pubici le uscivano dallo slip. Poggiai la mano sinistra sul suo culo. Ne indagai la rotondità e le deliziose imperfezioni della pelle. Burrosa. Calda. Eccitante. La mano destra intorno alla birra. Un altro sorso, ma si.

Lei si abbassò. Piegò le ginocchia e aprì le cosce. Il culo sfiorò quasi il pavimento. Adesso mi mostrava la schiena. Con una mano raccolse i capelli e se li spostò in avanti. Avevo tutta la schiena a mia disposizione. Una prateria di pelle attraversata da un Mississipi prosciugato e senza schiavitù. Un'unica interruzione sul percorso: quell'infame reggiseno. Andava tolto. Poggiai la lattina di birra a terra. Avvicinai le mani al reggiseno, per slacciarlo. Ne approfittai per baciarle la schiena. Una volta. Poi un'altra. E un'altra ancora. Le slacciai il reggiseno e la strinsi forte a me. Le mie labbra cominciarono a profumarle il collo di birra. Le mie dita iniziarono a martoriarle i capezzoli. La sentii ansimare, delicatamente. 
Ma poi si alzò. Lentamente, ma si alzò. Il suo culo tornò a pochi centimetri dal mio naso. Fece un passo in avanti e si girò verso di me. Aveva solo il tanga e tanta voglia di scopare. Nulla in confronto alla mia. Si inginocchiò di fronte a me, poggiando le ginocchia sul suo jeans. Io mi appoggiai allo schienale della poltrona. Con la mano destra cercai nuovamente la birra. Non la trovai. Buttai un occhio, ma niente. Tornai a guardarla. La birra era in mano sua. L'aveva presa lei. 
E senza togliere gli occhi da dentro ai miei occhi, tracannò un sorso.


Jack Writhe


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