Siamo la generazione del pozzo.
Arriva il punto in cui arriviamo lì, sul ciglio. Le pietre fredde sotto i nostri piedi nudi. La brezza notturna a solleticarci la schiena. Le viscere si fermano, trattengono il fiato. Davanti a noi, al nostro muso leggermente sporto, il buio senza fine. Il nero che ti invita a farti inghiottire. Ha fame. Tu non vuoi buttarti, non sei mica stupido. Il solo pensiero di alzare un piede ti fa schizzare il cuore il gola, ti fa sentire il vuoto in grembo. Le ginocchia sono di gomma, ormai.
A quel punto, qualcos'altro ti spinge da dietro. La noia, l'infinito piattume di questa prospettiva di vita senza sobbalzi, senza emozioni, senza momenti che ti fanno muovere i muscoli della faccia. Ti senti già arrivato. E' come se la vita avesse accelerato troppo. Sei qui da pochi anni, ma te ne senti di più. Troppi di più. Senti di aver visto tutto. E di averlo visto più volte, in un ciclo infinito.
Aggrappati alle stesse persone, alle stesse idee, agli stessi concetti del cazzo. Hanno fatto la muffa, sono scaduti, sono marci e puzzano. Sanno di patate andate a male, quando ormai hanno germogliato da tempo e sono diventate poltiglia marrone che puzza di vomito.
Le stesse persone, le stesse relazioni. Sperando che stavolta sia quella buona, e invece niente. Gli stessi errori, sbagli ma non impari.
E' tutto merdosamente uguale.
E allora ti butti. Se non posso saltare oltre una certa altezza, allora preferisco andare giù. Perché sai già che quel pozzo è senza fondo. Che non c'è limite al peggio. E precipiti giù, mentre l'aria ti fischia nelle orecchie e te le buca, come una siringa gigantesca.
E continui ad andare giù, sempre più giù, ripensando alle stesse persone, alle stesse convinzioni. Scrivi sul tuo profilo social che da domani farai spazio al nuovo te, ma sono chiacchiere di fumo. Sei sempre lo stesso, fai sempre le stesse stronzate. E ad ogni giro di giostra, vai sempre più giù. Sempre più a fondo, ma il fondo non c'è. Il pozzo è infinito e tu cadi all'infinito. Il buio ti ingoia di digerisce ma non ti espelle. Ti tiene dentro, come uno stagno di avanzi nello stomaco.
E tu continui a passarti la lama sulla stessa ferita. Tempo di fare la crosta e tu la riapri. E continui così, senza sosta. Finché il fisico non reggerà più la merda che accumuli nel cervello.
E allora sentirai il fondo. Ma non ti basterà. Scaverai a mani nude, finché non le avrai consumate. Finché le braccia non saranno due moncherini sanguinanti. E così fino alla fine di tutto.
Quando ti renderai conto che una fine non può esserci.
Perché non c'è mai stato un inizio.
Mister Tenant
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